ma quanto "rende" l'essere "buoni"..
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Parigi | 1 agosto 2007
Finalmente le Nazioni Unite si muovono. Nella notte è stata approvata a Palazzo di Vetro la risoluzione del Consiglio di sicurezza che autorizza l'invio di 26.000 caschi blu a sostegno dei 7.000 soldati dell'Unione africana già presenti nella regione occidentale del Sudan. Sarà la forza di peace-keeping più grande e costosa mai deliberata in sede Onu, con un costo complessivo solo per il primo anno di 2 miliardi di dollari.
Nella soluzione della crisi del Darfour, come nel caso delle infermiere bulgare rilasciate dalla Libia, emerge il ritrovato protagonismo della Francia dopo l'insediamento di Nicolas Sarkozy all'Eliseo. Parigi ha assunto un ruolo di primo piano nel promuovere la causa del Darfur all'attenzione della comunità internazionale: in giugno, non a caso, ha ospitato la prima conferenza internazionale sul Darfur, e Sarkozy ha annunciato che visiterà presto la regione. Ma soprattutto, la Francia è pronta a inviare i propri militari in Darfur. Il ministro degli Esteri Bernard Kouchner, peraltro, ha ribadito che il nucleo della missione di peacekeeping sarà costituito da militari africani: "C'è un nuovo fenomeno, molto importante, ed è quello che gli africani si prenderanno direttamente la responsabilità delle loro questioni".
26mila caschi blu per fermare la catastrofe umanitaria
La missione infatti vedrà la partecipazione quasi totale di militari provenienti dal continente africano. Ghana, Senegal, Kenya, Benin raddoppieranno il proprio contingente già presente in Sudan con la missione dell'Unione africana. A questi si aggiungeranno 6.000 militari provenienti da Nigeria ed Egitto.
Lavorio diplomatico
Determinante, nell'accelerazione finale che ha portato all'approvazione della risoluzione, la determinazione di Francia e Gran Bretagna, che hanno presentato in due settimane ben quattro bozze di risoluzione, vincendo le resistenze della Cina, contraria all'utilizzo della forza da parte della missione di peacekeeping. Il testo ha aggirato l'ostacolo, affermando che saranno prese le "necessarie misure" per proteggere i membri della missione militare e i civili che forniscono aiuto umanitario ai profughi "sotto minaccia senza pregiudizio verso le responsabilita' governative".
I 'no' di Pechino
La Cina, che con il Sudan ha forti interessi economici (leggi petrolio) e che in precedenza aveva mosso alcuni "dubbi" sulle precedenti bozze, ha sdoganato il testo presentato in Consiglio di sicurezza, e per bocca del suo ambasciatore al Palazzo di vetro, Wang Guangya, ha sottolineato come sia necessario "essere precisi e attenti su come applicarla".
Nel documento sono scomparsi anche i riferimenti al sequestro e alla distruzione delle armi non legalmente detenute; compito della forza ibrida sarà semplicemente quello di monitorarne l'uso. Nel testo della risoluzione sono stati cancellati anche i riferimenti alle milizie arabe Janjaweed ritenute principali responsabili dei massacri di civili.
La risoluzione chiede inoltre al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, di riferire ogni trenta giorni al Consiglio di sicurezza sullo svolgimento della missione.
La posizione di Washington
L'ambasciatore americano a New York, Zalmay Khalilizad, ha pero' messo in guardia il Sudan, dichiarando che se Khartoum non rispettera' il testo della risoluzione, potrebbero essere prese misure "unilaterali e multilaterali". Il riferimento è alle sanzioni, che Russia e Cina hanno sempre rifiutato, ma che il presidente Usa George W. Bush ha sempre visto come soluzione contro l'indisponibilità del paese subsahariuano.
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