"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

sabato 29 dicembre 2007

Benazir Bhutto: "Se mi accadrà qualcosa la colpa è di Musharraf"

Condoleezza Rice rende omaggio alla Bhutto nell'ambasciata pakistana a Washington


di ALIK VAN BUREN


Se non fosse bastata la notizia della morte di Benazir Bhutto a scuotere la già vacillante politica della Casa Bianca in Pakistan, s'è aggiunto ieri il brutto livido di una possibile responsabilità, almeno indiretta, del presidente Musharraf nel destino della rivale. A puntare l'indice accusatorio contro l'ex generale è la copia di un messaggio spedito dalla stessa Bhutto all'alba del 26 ottobre a una serie di amici, nel quale presagiva la sua sorte.

Da ieri quelle sei righe inviate dal suo BlackBerry, firmate semplicemente "B", circolano nella Casa Bianca e nel Campidoglio americano. All'amico Mark Siegel, democratico di vecchia data, già assistente della presidenza Carter e suo lobbysta a Washington, quel giorno lei scrive, telegrafica: "Se qualcosa dovesse accadermi, riterrò Musharraf responsabile. I suoi lacché mi fanno sentire insicura". E' trascorsa appena una settimana dal primo attentato cui è scampata, e riferendosi ai sistemi di sicurezza richiesti e mai accordati, Benazir accusa. "E' impossibile che il divieto di prendere macchine private, di usare vetri oscurati, o dispositivi elettronici, o una scorta di quattro veicoli della polizia per proteggermi da tutti i lati possa essere stato decretato senza il suo accordo".

Le fonti ufficiali tacciono sull'ennesima miccia che promette di mandare in frantumi la faticosa opera diplomatica imbastita da Washington per consolidare il suo alleato pachistano. A funestare i presagi piomba anche il bollettino di guerriglia urbana trasmesso dalle piazze del più popoloso Paese islamico al mondo dopo l'Indonesia, armato di un arsenale nucleare (voluto nel 1972 proprio da Zulfiqar Ali Bhutto, il padre "martire" di Benazir). L'apocalittico quadro delle 36 e più città pachistane pervase dal fumo dei pneumatici bruciati, i primi scontri sanguinosi tra le fazioni rivali della Lega musulmana (legate a Nawaz e Musharraf) esprimono attraverso l'immediatezza delle immagini quel che gli esperti riassumono in un interrogativo: "Scomparsa Bhutto dalla scena, il presidente Bush ha un piano alternativo?".

La stampa americana conferma lo scacco inferto a Washington dalla perdita di un elemento essenziale nel progetto di Condoleezza Rice per puntellare l'uomo forte Musharraf, alleato e custode del bastione orientale della sicurezza americana nel Grande Medio oriente, rotta privilegiata di al-Qaeda nel transito verso l'Afghanistan, ma anche degli oleodotti costruiti fra l'Iran o l'Asia centrale e l'India, essenziali per la sicurezza energetica degli Stati Uniti. Per più d'un anno il Dipartimento di Stato s'era convertito nella quinta segreta dove s'andava ideando l'accoppiata politica con Benazir Bhutto per conferire una patina di rispettabilità al generale in precipitoso calo di popolarità. Questo mentre il New York Times calcola le scarse probabilità di sopravvivenza di Musharraf dopo l'assassinio di Bhutto, e per illustrare meglio la crisi sciorina i risultati di un sondaggio recente stando al quale già mesi fa il 67 per cento dei pachistani voleva le dimissioni del presidente, e il 70 per cento non intendeva rieleggere il suo governo.

Scomparsa Benazir,
"la politica degli Stati Uniti è andata in fumo", concordano gli osservatori. La prescrizione impartita è altrettanto unanime, e accompagnata da molti qualificativi: soltanto se Musharraf reinsedierà la Corte Suprema, se i militari non interferiranno nella scelta di un nuovo leader del Ppp, se le elezioni saranno libere e trasparenti, se il regime militare lascerà il posto a un governo civile, si smorzerà forse la miccia della polveriera nucleare pachistana.

(29 dicembre 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/esteri/pakistan-1/colpa-di-musharraf/colpa-di-musharraf.html

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Pakistan, un Paese nel caos con l'incubo bomba atomica

di BERNARDO VALLI


IL PAKISTAN non è un paese come gli altri. E' unico. E' un paese musulmano dotato di armi nucleari. Il solo. Quando le strade delle sue città, a Islamabad, a Karachi, a Lahore, sono invase dagli integralisti sensibili ai richiami dei taliban e dei capi di Al Qaeda, arroccati nelle incontrollabili contrade pachistane confinanti con l'Afghanistan, gli strateghi del Pentagono vivono un incubo. E con loro gli inquilini della Casa Bianca che hanno puntato sul Pakistan per contenere il terrorismo, il cui epicentro, il cervello, si trova proprio in quell'area geografica.

Un incubo che è difficile non condividere
anche se non si condividono idee e responsabilità della superpotenza. Il Pakistan rappresenta da tempo un'incognita. La sua immagine è quella di un paese con due volti: talvolta prevale quello che esprime stabilità militaresca in una regione tormentata; talvolta quello che al contrario annuncia, minaccia esplosioni di fanatismo capaci di sconvolgere ancor più la già traumatizzata regione.

In realtà più che alternarsi
le due facce si confondono in un profilo ambiguo, che è poi quello descritto da Salman Rushdie, autore di un famoso romanzo ("Shame") in cui racconta quel che si nasconde sotto la dura crosta musulmana della società politica pachistana. Lo leggevo a Islamabad, nei primi anni Ottanta, quelli dell'occupazione sovietica dell'Afghanistan, e i miei interlocutori pachistani si scandalizzavano alla vista della sola copertina.

Salman Rushdie emanava un odor di zolfo prima ancora di pubblicare " I versetti satanici" che gli valsero la fatwa degli ayatollah iraniani. A quell'epoca il virus del terrorismo islamico non era visibile, ma la società era già abbondantemente percorsa dai demoni religiosi. Demoni annidati nelle origini dello stesso Stato nato dalla scissione dall'India multireligiosa. A Islamabad si diceva che per uno dei personaggi Salman Rushdie si era ispirato alla giovane Benazir Bhutto. E' questo, soprattutto, che mi spinge a ricordare il romanzo.

L'assassinio di Benazir Bhutto, assurta giustamente a simbolo della democrazia insanguinata, non significa, comunque, il brusco prevalere del volto minaccioso del Pakistan, con tutti gli annessi demoni risvegliati dal timore di vedere gli integralisti al governo di una potenza nucleare. Siamo ben lontani da questo, anche se la semplice idea può togliere il sonno. O provocare incubi. Il pronostico più ragionevole è quello di un Pakistan sempre più oscillante tra le sue due anime. Vale a dire sempre più ambiguo. Ancor più agitato alla vigilia delle incerte elezioni dell'otto gennaio.

E questo basta per scardinare ulteriormente la strategia americana, condivisa dai principali paesi occidentali, nella regione. L'amministrazione Bush puntava su Benazir Bhutto per ricondurre il paese a una decente democrazia, dopo lo strappo autoritario di Pervez Musharraf. L'ideale sarebbe stata un'intesa, un compromesso tra i due. Il compromesso, che avrebbe meritato l'aggettivo di storico, è stato cancellato dal kamikaze. Ora i sostenitori della Bhutto vedono in Musharraf l'istigatore dell'assassinio.
Non sarà facile disinnescare le passioni.

Dall'11 settembre, dall'attentato alle Due torri, Bush ha considerato Musharraf il più stretto alleato nella "guerra contro il terrorismo". La scelta era logica, obbligata. Senza l'appoggio del Pakistan era infatti impossibile intervenire in Afghanistan dove era annidata Al Qaeda, ospitata o subita dai Taliban. Non c'era un'alternativa anche se il Pakistan era al tempo stesso alleato dell'America e il retroterra di Al Qaeda e dei Taliban. E non solo perché il suo forte esercito (tre volte vittorioso nelle guerre con l'India) non era in grado di controllare la cossiddetta " area tribale" a ridosso dell'Afghanistan. Né la sua polizia di sorvegliare sul serio i labirinti delle scuole coraniche, inevitabili vivai di integralisti e di naturali alleati dei fratelli afghani.

La non tanto segreta aspirazione di Islamabad era di ridurre l'Afghanistan alla condizione di un suo protettorato, e quindi covava l'inconfessabile speranza di vedere quel paese sfasciato e trascurato dalla superpotenza. La quale, oltre alla punizione dei dichiarati mandanti dell'attentato di New York, aveva come obiettivo la creazione di uno Stato afgano accettabile e sovrano.
Ecco ancora i due volti del Pakistan.

Il pericolo è adesso che la morte di Benazir Bhutto inquini o paralizzi il (già non facile) rapporto strategico tra l'Afghanistan e il Pakistan. Un rapporto vitale per evitare che il confine tra i due paesi sia un facile corridoio per i Taliban e gli uomini di Al Qaeda. Se i disordini dovessero estendersi, l'esercito pakistano sarebbe costretto a ridurre il suo impegno lungo la frontiera. Inoltre, le passioni che percorrono la società politica e militare potrebbero riservare sorprese. Dopo la morte di Benazir Bhutto, agli americani resta un solo personaggio su cui puntare: il discreditato Musharraf.

Hamid Karzai, il presidente afghano, contava su Benazir Bhutto per migliorare le relazioni con il Pakistan. Con Pervez Musharraf il dialogo non è mai stato disteso. E' stato spesso appesantito dai reciproci sospetti. Insomma un rapporto avvelenato dalla diffidenza. Karzai aveva invece fiducia in Benazir Bhutto. L'ha incontrata in Pakistan poche ore prima dell'attentato. Hanno parlato appunto della necessità di rendere più impermeabile il confine. Un problema essenziale anche per le truppe occidentali (e tra queste quelle italiane) che operano in Afghanistan.

Anche nel resto del subcontinente, in India, tradizionale, storica rivale del Pakistan, non si nasconde l'inquietudine dopo il riuscito attentato di Rawalpindi.

Il primo ministro, Manmohan Singh, ha definito la Bhutto una persona di coraggio, che voleva finirla con "le sterili rivalità del passato", e ha messo in stato d'allerta l'esercito al confine pachistano, come accade ritualmente ad ogni crisi da più di mezzo secolo. Anche l'India possiede armi nucleari. E non può che condividere l'incubo di chi pensa alla possibilità che un giorno gli integralisti musulmani possano assumere il controllo degli arsenali nucleari del Pakistan. Il pericolo, come ho detto, non è d'attualità. Ma basta l'idea.
(29 dicembre 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/esteri/pakistan-2/pakistan-2/pakistan-2.html

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2 commenti:

Franca ha detto...

Non posso dare un giudizio profondo sulla Bhutto perchè non la conosco così bene, ma mi sembra una persona molto controversa.
Certo, è significativo che sia diventata Primo Ministro in un paese dove le donne, almeno per quello che ci raccontano, non hanno tutto questo spazio (che strano! In Italia non è mai accaduto), ma si è anche dovuta dimettere perchè accusata di corruzione.
Quello che è certo che per Musharraf sarebbe stata una rivale temibile.
Per fortuna che c'è (ma poi ci sarà davvero?) Al Qaeda a cui dare sempre la colpa di tutto!

Anonimo ha detto...

Ben detto Franca.
Qui dobbiamo festeggiare... perchè? Perchè sono d'accordo con te. Come sempre in politica estera.