"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

sabato 22 dicembre 2007

"Malore attivo" di un anarchico


Giuseppe Pinelli


di
Saverio Ferrari


Le carte giudiziarie di Giuseppe Pinelli solo in parte si trovano oggi nella disponibilità dei familiari. Giacciono per lo più ancora sparse tra gli archivi del Tribunale di Milano o dei diversi avvocati che se ne occuparono. Raccoglierle in un unico fondo, e metterle a disposizione di chiunque volesse rileggerle, sarebbe un modo concreto per continuare ad alimentare la memoria di una vicenda che molti vorrebbero definitivamente seppellire. Questo l'obiettivo del Circolo anarchico del Ponte della Ghisolfa nel trentottesimo anniversario della morte dell'anarchico, avvenuta nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969.


Una "morte accidentale"

La vicenda giudiziaria, ricordiamolo, fu assai tortuosa. Nel maggio 1970, su proposta del pubblico ministero Giovanni Caizzi, il giudice istruttore Antonio Amati archiviò sbrigativamente la vicenda come "morte accidentale". Si scoprì in seguito che pur di giungere a questo esito non erano stati nemmeno svolti gli accertamenti di rito riguardo il punto e l'ora della caduta del corpo e che il collegio peritale non aveva pensato di recarsi sul posto.
Ma già dal 15 aprile, Luigi Calabresi aveva querelato per "diffamazione continuata e aggravata" Pio Baldelli, direttore responsabile del quotidiano Lotta Continua che aveva promosso una sistematica campagna di denuncia, con articoli e vignette, attribuendo al commissario precise responsabilità.

Il procuratore generale di Milano, Enrico De Peppo, prima di assegnare la causa fece in modo, ritardando i tempi, che l'archiviazione di Caizzi giungesse a compimento. Si aprì così solo nell'ottobre del 1970 il processo per diffamazione che, per altro, portò nell'aprile del 1971 alla richiesta di riesumazione del cadavere di Pinelli per ulteriori accertamenti. Attraverso nuove perizie medico-legali si intendeva verificare se fosse ancora possibile rinvenire sulla salma tracce di un colpo di karatè, sferrato durante gli interrogatori, che aveva leso il bulbo spinale. Forse la vera causa della morte, da cui la successiva defenestrazione e la messa in scena del suicidio.
L'avvocato di Calabresi, Michele Lerner, ricusò a questo punto il giudice Biotti per aver anticipato in un colloquio privato le proprie convinzioni sulla colpevolezza di Calabresi.
Il 7 giugno 1971 la Corte d'appello rimosse il giudice dall'incarico ed il processo si arenò definitivamente.

Solo il 4 ottobre del 1971 si riaprì il caso, quando su denuncia della vedova Licia Rognini, il giudice istruttore Gerardo D'Ambrosio emise sei avvisi per omicidio volontario contro il commissario Calabresi, i poliziotti Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Piero Mucilli ed il tenente dei carabinieri Savino Lo Grano.


L'archiviazione

L'istruttoria si concluse il 27 ottobre del 1975 con il proscioglimento di tutti gli indagati. Una sentenza passata alla storia. Pinelli, sostenne D'Ambrosio, non si era suicidato ma nemmeno era stato assassinato. «Verosimilmente», a causa di un «malore attivo» e dall'«improvvisa alterazione del centro di equilibrio» era stato violentemente sospinto fuori dalla finestra. Giuseppe Pinelli alto 1,67, sentendosi male, invece di accasciarsi, come ogni altro essere mortale, con un balzò inconsulto e involontario si ritrovò invece a scavalcare una finestra di 97 centimetri, spalancando al contempo, quasi in volo, le imposte socchiuse. Una tesi senza precedenti nella storia del diritto, rimasta ancor oggi unica nel suo genere. Gli stessi periti d'ufficio esclusero la possibilità dell'evento, in assoluto contrasto con le più elementari leggi della fisica e della medicina legale. Per altro, su Pinelli non furono rinvenute ferite sulle mani e sulle braccia a dimostrazione che il corpo era già inanimato al momento della caduta. Così dicasi per l'assenza di perdita di sangue dal naso e dalla bocca. Non bastò. Il giudice, nonostante le smentite alla propria tesi provenienti dagli stessi indagati, ciascuno dei quali aveva rilasciato testimonianze diverse e contrastanti fra loro, in cui mai si parlò di malore, la sostenne senza fornire alcuna prova o riscontro concreto.

In questo frangente anche il caso clamoroso del brigadiere Vito Panessa che addirittura affermò che nel tentativo di afferrare l'anarchico si ritrovò con una scarpa in mano, quando Pinelli venne rinvenuto nel cortile della questura con ambedue le scarpe ai piedi.
Si aggiunse come beffa finale il provvedimento di amnistia per Antonino Allegra, capo dell'ufficio politico, circa i reati di abuso di potere e arresto illegale di Giuseppe Pinelli.


Ricordare tutto

Tra i testimoni ancora in vita Pasquale Valitutti. Si trovava quella notte in questura nel salone dei fermati ed escluse sempre in maniera categorica di aver visto uscire dal suo ufficio, negli ultimi quindici minuti precedenti la precipitazione di Giuseppe Pinelli, il commissario Luigi Calabresi. Testimoniò di aver sentito «come delle sedie smosse», aggiungendo di aver «visto gente che correva nel corridoio gridando "si è gettato". Alle mie domande hanno risposto che si era gettato il Pinelli: mi hanno anche detto che hanno cercato di trattenerlo ma non vi sono riusciti. Calabresi mi ha detto che stavano parlando scherzosamente del Pietro Valpreda, facendomi chiaramente capire che era nella stanza al momento in cui Pinelli cascò». Non venne mai creduto. Era anarchico. Ricordarlo in tempi di beatificazione del commissario Calabresi potrà non piacere. Ma va detto.

Solo pochi giorni fa, Licia Pinelli confidava a un amico: «Prima di morire vorrei vedere la verità anche in un'aula di tribunale, vorrei sapere che cosa accadde davvero in quella stanza». Anche per questo, ridire tutto a voce alta continua ad essere un dovere.

Liberazione, 16 dicembre 2007


fonte: http://www.reti-invisibili.net/giuseppepinelli/articles/art_13187.html

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Guisepe Pinelli assassiné ; Pietro Valpreda innocent !
PLace Fontana - Milan 12 décembre 1969, un massacre d'Etat


Une bombe éclate à la Banque nationale de l'agriculture, place Fontana (Milan Italie).
Le massacre, qui a causé 16 morts et 90 blessés, secoue le pays. La police assure que les coupables seront bientôt arrêtés, que les recherches seront menées dans toute les directions. Mais, en attendant, sont interpellés, interrogés et perquisitionnés 588 militants de la gauche extra-parlementaire et 12 fascistes (relâchés les premiers). Le commissaire Luigi Calabresi, le même jour, implique comme responsables de l'attentat les adhérents de la gauche révolutionnaire. Aux anarchistes arrêtés, Pinelli et Ardau, il demande avec insistance des informations ou des révélations sur leur compagnon Pietro Valpreda. " Ceci n'est pas l'oeuvre des fascistes, on reconnaît une certaine conception anarchiste ", déclare-t-il. 14 décembre.

Le retraité Mario Magni, convoqué au commissariat, confirme l'alibi de Pinelli qui, l'après-midi du vendredi 12, jouait , aux cartes avec lui et d'autres dans un café. 15 décembre. Funérailles des victimes de la place Fontana. L'anarchiste Valpreda est arrêté et accusé du massacre, il est immédiatement transféré à Rome.
Au commissariat milanais, vers minuit, Pinelli tombe de la fenêtre du bureau du commissaire calabresi, situé au 4e étage ; il meurt peu après à l'hôpital Fatebeneftatelli. 16 décembre. A 2 heures du matin, une conférence de presse a lieu au commissariat. Le commissaire Marcello Guida déclare : Il (Pinelli) s'est vu perdu, ce fut un geste désespéré. Le commissaire Calabresi ajoute : Il s'est trouvé comme acculé, alors il a craqué psychologiquement.
18 décembre. La responsabilité des fascistes et des services secrets commence à se dessiner. Lotta continua et les anarchistes accusent Calabresi d'avoir tué Pinelli. Ainsi débute une longue campagne qui impliquera l'opinion publique démocratique, pour établir la vérité :
Valpreda est innocent, le massacre est l'oeuvre de l'Etat, Pinelli a été assassiné.


Affiche reprenant la Une du Monde libertaire...


Un assassinat politique ?

S'il n'avait pas eu la malchance de rencontrer un commissaire Calabresi, Pino Pinelli serait encore parmi nous. Il naquit dans les quartiers populaires de Milan en 1928, en pleine période fasciste. Après avoir fréquenté l'école primaire, il dut travailler très tôt, et combla ses lacunes culturelles en lisant des centaines de livres en authentique autodidacte.
A peine âgé de 18 ans, il participe à la lutte armée antifasciste comme agent de liaison dans les formations libertaires de la résistance en Lombardie. Dans l'immédiat après-guerre, tout en étant actif dans la reconstruction du mouvement anarchiste à Milan, il entre aux chemins de fer comme conducteur et rencontre Lucia Rognini qui sera la compagne de sa vie. D'abord proche du groupe rédactionnel du journal Il Libertario de Mario Mantovani, il adhère en 1963 à la Gioventu libertaria et, peu après, sera parmi les fondateurs du cercle culturel Sacco-vanzetti.
En 1968, dans un climat rénové par les ferments politiques et sociaux, il est à l'initiative d'une série de réunions, assemblées et conférences au nouveau Cercle du point de la Ghisolda. Y participent des étudiants, mais aussi des ouvriers des premiers CUB (Comités unitaires de base), expérience inédite du syndicalisme d'action directe. Pinelli est aussi parmi les partisans de la reconstruction de l'USI (syndicat anarcho-syndicaliste italien) et, en outre, s'implique dans la Croix noire anarchiste afin d'aider les compagnons détenus.


Le soir du 12 décembre 1969, quand il est convoqué au commissariat pour un interrogatoire, Pino précède en moto la voiture de la police comme il l'a déjà fait bien d'autres fois. Ce sera la dernière. Le premier qui tente de porter secours à l'anarchiste milanais tombé du quatrième étage est Aldo Palumbo, joumaliste de l'Unita, qui traversait la cour du commissariat. De suite, il le reconnaît, appelle du secours et avertit les autres journalistes restés dans la salle de presse. Le matin suivant, tous les quotidiens titrent sur le " suicide ". Mais les faits, dès le début, ne sont pas clairs. Une ambulance aurait été appelée avant que Pinelli tombe par la fenêtre. Les " bizarreries " se succèdent. Le journaliste Palumbo, témoin possible, est menacé et intimidé. La chute du corps apparaît étrange pour un suicide, sans élan et comme glissant le long de la façade.
La police fournit des versions contradictoires sur le déroulement des faits et sur le mobile, Pasquale Valitutti, une des personnes arrêtées et présente au commissariat au moment des faits, témoigne : "... J'ai entendu des bruits suspects, comme ceux d'une bagarre, et j'ai pensé que Pinelli était encore là et qu'on le frappait. Un moment après, ce fut le changement du planton de garde. Peu après, j'ai entendu comme des chaises renversées et j'ai vu des gens courir vers la sortie, en criant " Il s'est jeté ". A l'hôpital, les médecins de service relèvent avec stupeur l'absence de lésions externes : Pinelli ne perd pas de sang, ni du nez ni des oreilles, comme c'est logique dans ces cas-là. L'autopsie mettra en évidence une lésion au niveau du cou, similaire à celle provoquée par un coup de karaté. Le travail des médecins dans la salle de réanimation fut constamment " contrôle " par un policier en civil qui voulut avec insistance assister aux derniers instants de l'anarchiste.

En mai 1970, la magistrature conclura par un verdict sibyllin de " mort accidentelle " qui, de toute façon, ne signifie pas nécessairement suicide. Il ne faut pas oublier Vingt ans après, nous combattons toujours les mensonges de l'Etat. Entre temps (en 1972), le commissaire Calabresi a été tué, "sacrifié " de façon obscure et mystérieuse. Actuellement, on cherche à revenir sur des vérités désormais acquises dans la conscience d'une bonne partie des gens. Symboliquement, la tentative du maire socialiste de Milan pour enlever de la place Fontana la plaque dédiée à Giuseppe Pinelli va en ce sens, on tente, en outre, de redonner une virginité et une improbable " image humaine " au défunt commissaire responsable direct de l'assassinat, de notre compagnon. Au point qu'un syndicat de police cherche vainement pour le moment à substituer à la plaque en mémoire de Pinelli une pour Calabresi.


G. Pinelli lors d'une réunion du Cercle Sacco & Vanzetti (1er à gauche).

En 1969, le terrorisme d'Etat eut à sa disposition toutes les forces réactionnaires présentes en Italie (réseaux fascistes, associations néonazies, fonctionnaires corrompus, etc., forces soutenues économiquement et politiquement par les gouvernements grec et espagnol, à l'époque des dictatures fascistes. Cette structure résista bien à la première faillite réactionnaire et au scandale suscité par le massacre d'Etat et l'assassinat de Pinelli, par les machinations policières contre les anarchistes. Tous ceux qui furent complices des terroristes demeurent fermement à leur poste et se trouvent toujours dans les divers organismes du pouvoir. Plus récemment, on cherche à faire payer cher le grand espoir des années 60-70. Des procédures judiciaires sont actuellement en cours contre d'anciens dirigeants de Lotta continua, accusés suite aux révélations d'un " repenti " de l'assassinat du commissaire Calabresi.

On veut ainsi réduire un ample et profond mouvement de rébellion sociale ,et de contestation en une série d'actes criminels. On tente de gommer les raisons, d'annuler les motivations éthiques de la .révolte de la jeunesse, ouvrière et intellectuelle. Il s'agit d'enlacer la pensée sociale en réinterprétant le passé; en opérant de radicales révisions. Criminaliser les comportements antagonistes de ces vingt dernières années constitue un sérieux avertissement pour aujourd'hui : les revendications syndicales, les protestations de la population contre les productions de mort, les possibles contestations de jeunes, doivent rester dans la sphère institutionnelle. Il ne doit pas y avoir d'espace pour l'action directe, collective et de masse ; aucun espace ne doit être concédé aux expériences autogestionnaires.
L'assassinat du commissaire Calabresi a été utilisé pour favoriser le classement du meurtre de Pinelli et pour redorer le blason de l'Etat gravement compromis.
La vérité sur le massacre d'Etat de la place Fontana, sur les anarchistes, sur Pinelli, sur la responsabilité du commissaire Calabresi et des autres composantes politiques a été écrite depuis longtemps, en caractère; indélébiles, dans la conscience de ceux, qui n'ont pas abdiqué face aux sirènes du pouvoir. Et c'est à cette conscience que le pouvoir devra rendre des comptes.
A vingt ans de distance, trois faits restent inchangés :
le massacre c'est l'Etat, Valpreda est innocent, Pinelli a été assassiné.

Giorgio SACCHETTI



A voir :
Mort accidentelle d'un anarchiste de Dario Fo !
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fonte: http://increvablesanarchistes.org/articles/1968_81/pinelli_valpreda69.htm

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1 commento:

Franca ha detto...

Una delle tante vergogne italiane