"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

giovedì 27 dicembre 2007

Scariche elettriche per gli studenti violenti



QUANDO DA NOI? ...

Piccole dosi di elettroshock per ragazzi pericolosi, aggressivi, con ritardi o autolesionisti

NEW YORK – Pedagogia-shock per gli adolescenti aggressivi affetti da forme estreme di sindrome da “Arancia meccanica”? Negli Stati Uniti, anche se le punizioni corporali nelle scuole sono tuttora permesse in 21 dei 50 stati dell’Unione, la maggioranza degli educatori – e anche dei politici più progressisti - è schierata per l’abolizione di quelli che considera inaccettabili sistemi didattici da Medioevo. Rimane però sempre il problema di come assicurare nelle scuole più turbolente non solo la disciplina, ma nei casi limite perfino l’incolumità fisica di studenti e insegnanti. E la soluzione pragmatica adottata finora, almeno in alcuni casi a New York, è stata quella delle scuole cosiddette differenziali, dove gli alunni particolarmente violenti e pericolosi sono tenuti sotto controllo con metodi draconiani: compresa la somministrazione a piccole dosi di scariche elettriche.

LA POLEMICA - Questa «terapia di aversione»,come rivela il New York Times, viene applicata trasferendo gli studenti più problematici in un istituto sperimentale del Massachusetts, il “Judge Rotenberg Educational Center” situato a Canton, nei pressi di Boston. Ma anche se i risultati, in termini di profitto scolastico e di minore aggressività, sembrano positivi, adesso il Provveditorato agli studi dello stato di New York ha deciso di non dare più corso all’esperimento, considerato incompatibile con i dettami della pedagogia permissiva e del “politically correct”. A questo punto, però, gli amministratori scolastici si sono trovati davanti a un ostacolo imprevisto: l’opposizione dei genitori, i quali protestano chiedendo che il metodo della rieducazione comportamentale accompagnata da scariche elettriche rimanga in vigore.

IL METODO - «Molta gente – dice Susan Handon, una donna che vive a Jamaica, un quartiere popolare dell’enorme sobborgo multietnico di Queens a New York la cui figlia Carol, 20 anni, da quattro anni frequenta il Rotenber Center – pensa che si tratti di un sistema crudele soltanto perché non lo conosce. La verità, invece, è che Carol non solo non è affatto traumatizzata, ma ha smesso di saltare addosso alla gente e prenderla a pugni perché l’altra la pensa in modo diverso». La scolaresca nell’istituto è composta da elementi anche più estremi di quello di Carol. Le classi sono un campionario di soggetti sui quali invano hanno cercato di prodigarsi squadre di sacerdoti e assistenti sociali, consulenti filosofici e psicanalisti, psichiatri e psicologi dell’età evolutiva. Adolescenti affetti da autismo, ragazzi che si attaccano a morsi, sbattono la testa contro i muri o si infliggono spaventose mutilazioni.

LA TERAPIA - La «terapia di aversione» funziona dotando ciascuno di questi studenti-pazienti di una serie di elettrodi collegati a varie parti del corpo, per trasmettere al soggetto una o più scariche elettriche a bassa intensità nel caso di comportamenti che l’educatore considera eccessivamente pericolosi o aggressivi. Ma questa tecnica viene considerata da molti scienziati, filosofi, moralisti e perfino politici, un inaccettabile rischio, che spianerebbe la strada a forme di controllo del comportamento con sistemi autoritari da Grande Fratello. Intanto, mentre lo stato di New York annuncia che a partire dal 2009 non rinnoverà la convenzione con la scuola sperimentale del Massachusetts, i genitori di oltre 40 studenti si sono riuniti in consorzio e hanno citato in giudizio il Provveditorato scolastico chiedendo che la terapia pedagogica d’urto continui. Con tanto di scariche elettriche.

Renzo Cianfanelli
26 dicembre 2007(ultima modifica: 27 dicembre 2007)

fonte: http://www.corriere.it/cronache/07_dicembre_26/elettroschok_Studenti_Usa_Boston_Cianfanelli_d4fc2ff0-b3fe-11dc-9250-0003ba99c667.shtml

...

Pratica barbara per alcuni, antidepressivo formidabile per altri Oggi si riapre il dibattito

La provocazione terapeutica
chiamata elettroshock

di CLAUDIA DI GIORGIO



E' la più controversa delle terapie psichiatriche e torna ciclicamente ad occupare le prime pagine dei giornali, suscitando ogni volta polemiche roventi. Stiamo parlando dell'elettroshock, o, per usare il gergo medico, la terapia elettroconvulsivante, al centro, in questi giorni, dell'ennesima diatriba tra favorevoli e contrari. Inutile, repressivo e barbarico o insostituibile salvatore di vite umane? Ora da uno studio scientifico statunitense viene una provocazione - a favore dell'"elettro" - che merita di essere conosciuta. Proprio nei giorni in cui in Italia la circolare del ministro della Sanità Rosy Bindi, a favore di questa pratica, sta suscitando tante polemiche, nel mondo sia politico che scientifico.

Per il profano che non si accontenta di suggestioni emotive, è difficile districarsi tra le diverse posizioni e sfuggire alle evocazioni di tanto cinema e tanta letteratura. Lasciamo dunque da parte per un momento il ricordo delle immagini di "Qualcuno volò sul nido del cuculo", (che sarebbe un po' come tentare di formarsi un'opinione sulla chirurgia del trapianto di organi sulla base dei film di Frankestein), e vediamo anzitutto in cosa consiste oggi l'elettroshock. Il fondamento medico della terapia sta nella constatazione, che risale ai tempi di Ippocrate, che una convulsione di tipo epilettico ha effetti positivi sulla depressione.

Nel corso dei secoli, le convulsioni sono state provocate con vari metodi, spesso estremamente violenti e pericolosi, fino a quando, nel 1938, due medici italiani, Ugo Cerletti e Lucio Bini, non ebbero l'idea di ricorrere all'elettricità. Come molte altre terapie psichiatriche, nella fase iniziale l'elettroshock è stato usato in maniera grossolana, francamente pericolosa e talora utilizzata più per controllare i pazienti scomodi che per ragioni effettivamente terapeutiche. Ma dai tempi di Cerletti e Bini, la metodologia dell'ECT (per usare l'acronimo inglese di "electroconvulsant therapy") si è evoluta e perfezionata ed oggi la pratica psichiatrica effettua quella che viene chiamata "terapia elettroconvulsivante unilaterale", così detta perché coinvolge solamente uno degli emisferi cerebrali.


Niente sedie elettriche, legacci di cuoio e dosi elevate di elettricità somministrate quasi a casaccio. Oggi l'intervento viene eseguito con macchine computerizzate e programmate a seconda del paziente, in anestesia generale e con l'obbligatoria presenza di uno psichiatra e di un anestesista. Ed altrettanto obbligatorio, almeno in teoria, è il consenso del paziente o di chi ne fa le veci, che a termini di legge deve essere pienamente informato sul funzionamento della terapia e sui suoi effetti collaterali.

Al paziente vengono applicate due piastrine metalliche all'esterno dell'emisfero non dominante del cervello (il destro, nella maggior parte dei casi), attraverso cui viene fatta passare una corrente dell'intensità di circa 0.9 Ampere (tanto per intenderci, per accendere una lampadina servono 2 Ampere). L'energia è di circa 24 joules e il voltaggio utilizzato (si tratta di corrente continua, come quella delle batterie) è di circa 100-110. La scossa dura circa 0.14 secondi, e la convulsione che ne segue va da 10 a 40 secondi. La seduta viene ripetuta due o tre volte a settimana per circa un mese, a seconda dei casi.

Ma cosa fa la scossa elettrica? In pratica, riattiva di colpo i neurotrasmettitori, rialzando in particolare la noradrenalina, che nei depressi sarebbe estremamente carente. Equivale, insomma, ad una dose elevatissima di antidepressivi somministrata in un colpo solo, sostituendo l'intervento farmacologico che, in dosi equivalenti, sarebbe pericolosamente tossico.

Una scossa rivivificante, dunque, che rimette in moto meccanismi cerebrali devastati dalla malattia. Da usare, e questo viene sottolineato in tutti i testi ufficiali, anche i più favorevoli, solo ed esclusivamente per i casi di emergenza. Nel 1985, i National Institutes of Health americani hanno dedicato al problema dell'elettroshock un'intera conferenza, emettendo alla fine una sentenza favorevole alla sua applicazione. Citando direttamente dal documento finale emesso dai NIH, "nessuno studio ha rilevato un'altra forma di terapia che si dimostri superiore all'Ect per la cura a breve termine delle depressioni gravi." L'unica terapia possibile, insomma, per i soggetti in condizioni acute, con evidenti intenzioni suicide, catatonia o mancata rispondenza alle cure farmacologiche. L'elettroshock permetterebbe dunque di recuperare un paziente a rischio di vita (oppure troppo anziano o debilitato per assumere farmaci) che potrà poi essere curato con antidepressivi e/o psicoterapia.

I fautori dell'elettrochock sostengono infatti che non è possibile mettere sullo stesso piano un intervento di emergenza, di durata limitata, come l'Ect e una cura lunga e complessa come quella psicoterapica, inapplicabile nella maggioranza dei casi acuti. E per molti soggetti, aggiungono, la psicoterapia è comunque improponibile, perché prevede la volontà del paziente a sottoporvisi, e gli strumenti culturali ed anche finanziari per proseguirla e trarne giovamento.

L'elettroshock uscirebbe quindi assolto e addirittura vincente nella letteratura medica più diffusa e recente. Ma non ne vanno per nulla sottovalutati gli effetti collaterali, che rimangono pesanti anche rispettando la metodologia prevista. I rischi di mortalità sono bassi (2,9 decessi su 10.000 secondo lo studio più pessimistico, 4,5 su 100.000 secondo il più favorevole) e vanno comunque confrontati con un rischio di suicidio che tocca una media del 15 per cento nei depressi gravi. Tuttavia, immediatamente dopo il risveglio, l'elettrochock provoca uno stato confusionale, in alcuni casi anche molto grave, ed una perdita di memoria che può coprire anche un arco di una decina di giorni.

Secondo i Nih, inoltre, l'1 per cento circa dei pazienti sottoposti a ECT può soffrire di forme gravi di amnesia, anche se generalmente i problemi si risolvono entro sei-sette mesi dal trattamento. Una ricerca condotta a tre anni dalla terapia, però, ha rilevato in molti pazienti un complessivo peggioramento delle capacità di memorizzazione. Un po' salomonicamente, il panel di esperti dei National Health Institute (che comprendeva anche psichiatri decisamente contrari all'Ect), ha concluso la sua conferenza sottolineando che servono ancora altri studi sui meccanismi di base del funzionamento dell'elettrochock, raccomandando che la scelta della terapia venga effettuata solo dopo "una complessa considerazione di vantaggi e svantaggi a confronto con altre terapie" e ricordando che "per prevenire errori ed abusi è essenziale stabilire adeguati standard procedurali e di controllo dell'Ect". Sembra insomma di poterne concludere che se gli abusi e gli errori del passato (sperando che appartengano solo al passato) non possono essere utilizzati come argomenti a sfavore della terapia, quando si troverà un'alternativa efficace all'elettrochock tireremo tutti quanti un bel respiro di sollievo. Pazienti, psichiatri e pubblica opinione.


fonte: http://www.repubblica.it/www1/fatti/elettro/elettro/elettro.html
...

LEGGETE ANCHE: LA TRUFFA "ELETTROSHOCK"

...

1 commento:

Franca ha detto...

Questo articolo non mi ha convinto neanche un po'.
Continuo ad essere ferocemente contraria a questa pratica