La dittatura può essere
voluta soltanto da chi
possieda la fede metafisica
che il suo dittatore sia per
via misteriosa in possesso
della verità assoluta
Il problema del
parlamentarismo (1924)
HANS KELSEN
...
Fini stizzito, Bossi dubbioso
Il socialista Enrico Boselli dice che la nuova legge elettorale spagnolesca proposta da Veltroni e piaciuta a Berlusconi creerà un «bipartitismo coatto». Un'interpretazione malevola che però sembra aver ispirato anche il Cavalier Berlusconi. A Palermo - dove è andato per un comizio durante il quale ha raccolto le firme sul nome da dare al nuovo partito - tra ali di folla festante e ingorghi di traffico, il giorno dopo l'incontro decisivo con il segretario del Pd, spiega che la legge elettorale lo interessa assai poco. L'oggetto nuovo che ha colpito la sua fantastica intuizione per il marketing è il nuovo Partito democratico. Non a caso la sua interprete più fedele degli ultimi tempi, la "rossa" Michela Vittoria Brambilla anticipa che, al contrario di quello che avrebbero voluto molti colonnelli della prima ora di Forza Italia - da Bondi a Giro - questa volta è sulla parola «partito» che si metterà l'accento. Partito delle libertà e non Popolo, questa sarebbe già l'indicazione «in un sondaggio». «Bossi può stare tranquillo - dice Berlusconi - perché prima del referendum faremo la legge elettorale per evitarlo».
Berlusconi lanciando nei gazebo le nuove iscrizioni lo vede come un partito unico al posto della Casa delle Libertà. «Ci ritroveremeo tutti insieme», è convinto riguardo alla sua capacità di magnetizzare gli ex alleati della defunta Cdl. E sogna «il nostro nuovo partito e il Pd» come «due soggetti politici forti in grado di garantire il bipolarismo di resistere ai veti e ai ricatti spesso imposti dalle formazioni anche più piccole». Anzi, proprio dalla Sicilia secondo lui, sull'onda «dell'entusiasmo della gente» spera di costruire un unico soggetto politico del centrodestra, travasando cioè i voti di An nel suo nuovo contenitore. Non stupisce che a queste parole quello che era il suo principale alleato, Gianfranco Fini, gli chieda di «fare chiarezza», perchè l'unità «è condivisione di obiettivi, programmi e strategie» e «non è stata Alleanza Nazionale ad aver definito la Cdl un ectoplasma e non siamo stati noi a dare a Veltroni la disponibilità ad una legge elettorale che non preveda espressamente per i partiti l'obbligo di dichiarare le alleanze prima del voto. Il leader di An rifiuta la linea berlusconiana che pretenderebbe per lui «un monumento al trasformismo» Mentre Altero Matteoli grida all'anschluss - «Berlusconi vuole annetterci» - per Ignazio La Russa la chiarezza che deve fare Berlusconi è se essere amico o nemico.
Umberto Bossi preferisce reagire da contadino che fa spallucce. Per il Senatur non è successo nulla tra Veltroni e Prodi ieri alla Camera. Perché «non c'è niente di scritto». «È meglio avere ognuno un proprio partito che unirsi e poi stare separati in casa - ha detto ancora - non conviene perchè non cambia nulla».
Nel suo nuovo tour dei gazebo naturalmente il Cavaliere non rinuncia a attaccare il governo Prodi: è lui, il suo spodestatore per ben due volte, che vede da sempre come nemico. E quindi dice che è «dannoso», «se ne deve andare» e non ha più del 20 percento del consenso tra gli italiani, «l'80 percento è contro». Lui è per le forze dell'ordine, sia contro i tifosi sia contro i manifestanti del G8 di Genova. Mentre Prodi «denigra la polizia» e gli nega i soldi negli stipendi (nel giorno della protesta degli agenti).
Non si sa se Boselli e la Brambilla si piacciano, politicamente, s'intende. Ma per entrambi l'intesa sul "Vassallum" tra Veltroni e Berlusconi avvicinano le elezioni e mettono Prodi sotto «mobbing». Chi invece benedice l'intesa è Luca Cordero di Montezemolo. Il presidente di Confindustria è ineteressato alla governabilità e quindi non solo al dialogo sulla riforma elettorale, ma anche sulle altre proposte da Veltroni: da un nuovo bicameralismo a nuovi regolamenti parlamentari che evitano il formarsi di un numero spropositato di micropartiti.
Pubblicato il: 01.12.07
Modificato il: 01.12.07 alle ore 17.24
fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=71052
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LA RETORICA DI UN DESPOTA
Il fulcro della costruzione oratoria va cercato in alcune iperboli e nel gioco del rovesciamento: sembrare vittima e non carnefice
di SIMONETTA FIORI
«Un discorso esemplare», lo definisce Luciano Canfora, antichista sensibile al genere oratorio e incline a frequenti incursioni nell’età contemporanea. «Quel 3 gennaio del 1925 Mussolini dà prova di straordinaria abilità nel dosare lusinga e minaccia, ammiccamento e chiamata di correo, ragionamento pacato e aggressione ruvida. La sua retorica fonde due stili differenti: il primo ricavato dall’antica esperienza di tribuno socialista, altalenante tra tonalità energiche e passaggi pensosi; il secondo legittimato dalla condizione del despota, che brandisce il manganello impunemente».
Colpisce, fin dalle prime battute, il suo collocarsi fuori dalle istituzioni. Pronunciato in Parlamento il discorso si presenta subito come un intervento “non parlamentare”. «Ma non è certo più aggressivo dell’altro storico discorso, il 16 novembre 1922, cui apertamente si richiama (“Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli, ma non l’ho fatto almeno per ora”). Anzi: l’intonazione complessiva, seppure ricalcata sugli stessi stilemi, risulta più moderata».
Però minaccia violenze e vessazioni, che poi puntualmente attuerà. «Non c’è dubbio: è il discorso d’un despota. Ma il fulcro della costruzione oratoria va cercato altrove, precisamente nella celebre iperbole, giocata sul filo del paradosso: “Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione suprema della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”. Si tratta evidentemente di una provocazione, indirizzata agli ex alleati liberali e popolari, divenuti tiepidi dopo il delitto Matteotti».
Una chiamata di correo?
«Proprio così. Non a caso il discorso s’apre con un atto di suprema sfida, quando Mussolini evoca
l’articolo 47 dello Statuto secondo cui “La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del Re” ed aggiunge: “Domando formalmente se qualcuno voglia valersi di quest’articolo...”. Poi spiega meglio: “Dopo aver lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio, è necessaria una sosta per vedere se possiamo proseguire la stessa strada”. Più chiaro di così».
A chi si rivolge?
«Mi viene in mente Benedetto Croce, che in Senato il 26 giugno del 1924 — immediatamente dopo il sequestro di Matteotti — aveva rinnovato il proprio appoggio a Mussolini con un voto “prudente e patriottico”. Il filosofo motivò: “Il fascismo non è stato un infatuamento o un giochetto. Ha risposto a seri bisogni e ha fatto molto di buono come ogni animo equo riconosce”.
Mussolini si rivolge a questo ceto liberale liberale: ma come, vi siete serviti di me per soffocare il sovversivismo rosso e ora fate tante storie per un cadavere».
Però respinge tutti gli addebiti.
«La bugia fa parte dell’oratoria politica universale. La difesa di Mussolini appare magistrale, specie là dove evoca la Ceka russa: le cifre del terrore comunista servono a ricordare agli ex alleati la terribile minaccia da cui egli li ha liberati».
Rende anche omaggio all’avversario.
«Sì, riconosce a Matteotti “una certa crânerie, un certo coraggio”, che assomigliavano al suo coraggio e alla sua ostinazione: è un modo gaglioffo di rendere l’onore delle armi, tipico del vincitore che si presenta come eticamente superiore».
Accenna alle proprie virtù militari, in un incalzare quasi romanzesco.
«Direi comico: si presenta come un eroe che ha sgominato insidiose sedizioni e condotto una divisione di fanteria a Corfù. In realtà la sua partecipazione alla Grande Guerra fu piuttosto modesta. Ma questo è un luogo topico della retorica del capo: la reinvenzione del passato».
Con illustri antecedenti.
«Penso al Bellum hispaniense del corpo cesariano: vi si racconta che durante la battaglia di Munda, nel 45 a. C., è Cesare a salvare le sorti del suo esercito prendendo le insegne dalle mani d’un centurione. Da Plutarco in avanti, nella tradizione a base classica, la figura dell’eroe è irrinunciabile. Dobbiamo aspettare Tolstoj per imbatterci nell’antieroe. Mussolini vuol ricalcare
un topos che fu di tutti i condottieri, da Napoleone a Garibaldi».
Colpisce, poi, il rovesciamento quasi paradossale della realtà: oggi chi è fascista, dice Mussolini, rischia ancora la vita.
«Tutta la costruzione oratoria di Mussolini è fondata sul rovesciamento: da una parte la violenza
rossa, fomentata dall’Aventino anticostituzionale e sedizioso; dall’altra il Duce, soggetto normalizzatore e desideroso di pace. Ma non trascuriamo le velenose allusioni lanciate alla Corona, quando fa cenno alla “triste storia delle questioni morali in Italia”: Matteotti, tra l’altro, aveva scoperto uno scandalo che coinvolgeva la famiglia reale, e il duce velatamente ne fa cenno a Vittorio Emanuele. Che è poi la figura occulta che sta dietro questo discorso del 3 gennaio».
Ma il Re non ne era stato informato. Anzi, racconta De Felice, se ne dolse poi non poco.
«Sappiamo però che Mussolini aveva tentato di procurarsi un decreto di scioglimento della Camera in bianco. E da un appunto di Suardo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, apprendiamo che la sera era del 2 gennaio il Duce aveva incontrato Vittorio Emanuele. Il quale
non firmò il decreto il bianco, ma lasciò intendere al capo del fascismo che, dopo il processo per l’uccisione di Matteotti, gli avrebbe permesso di sciogliere anticipatamente la Camera».
Non era quel che voleva Mussolini.
«Era però abbastanza per aggredire la Camera e mettere il Re davanti al fatto compiuto. Usando
tutta la vasta tastiera di cui può essere capace un tribuno divenuto despota: violenza e seduzione, ricatto e ammiccamento. Una prova bel calibrata di retorica autoritaria.
fonte: http://download.repubblica.it/pdf/diario/04012005.pdf
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2 commenti:
Titolo da nuovo Messia...
Berlusconi non è una barzelletta e si fa male a considerarlo tale. Se si andrebbe alle elezioni ora diverrebbe presidente del consiglio e non grazie ai miracoli, ma per volontà del popolo.
Un popolo che non sa più a chi santo votarsi.
Una cosa è certa che la sinistra finora ha lasciati i disoccupati al loro destino, ha reso i poveri poveri e stà riuscendo ad impoverire anche la classe media.
by Mat
by Mat
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