"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

martedì 11 dicembre 2007

Ingrao, o la certezza del dubbio



di Alessia Grossi


Al Palazzo dei congressi domenica mattina il dubbio è se Pietro Ingrao arriverà alla presentazione del suo ultimo libro 'La pratica del dubbio', appunto. La voce della sua partecipazione inattesa agli Stati generali della sinistra che si svolgono in contemporanea all'altra Fiera, quella di Roma, infatti, comincia a serpeggiare tra la platea che lo attende all'Eur. Mezz'ora di ritardo e il dubbio che non ce la faccia ad arrivare in tempo per la conferenza sta per diventare certezza. Ma la luce dei flash dei fotografi e il lungo applauso che precedono Ingrao per i corridoi di Più libri più liberi illuminano la speranza degli astanti. Così contrariamente a quanto sospettato i dubbiosi si devono ricredere, il «vecchio anziano consumato tra le lotte e nato cento anni fa» - come lui stesso si definisce - non è riuscito neanche questa volta a scontentare i suoi, né politici, né bibliofili.

«La storia, la cronaca, l'evocazione della sconfitta, questo ho scritto in questo mio libretto». Così inizia Ingrao la sua lezione di «storia controfattuale» come l'ha definita il professor Santostasi nell'apertura al discorso dell'autore. Al posto della presentazione di quel «libretto smilzo ma intenso» l'autore di testi forse più pesanti come Volevo la luna si cimenta porgendo all'uditorio il suo occhio, l'occhio di colui che «vede l'inizio della storia del secolo scorso nell'assalto al Palazzo d'Inverno e nelle bombe su Hiroshima e Nagasaki, e mette questi eventi di fronte ad un'altra storia, la storia di cento anni di tempeste e di grandi invenzioni, ideologiche ma anche pratiche», la sua storia. Al posto di rifare il percorso che nel libro lo porta a considerare come l'inizio della fine «quel 1973 che ha dato il via alla globalizzazione capitalista» come evocato poco prima da Santostasi, Ingrao propone un'altra chiave di lettura del suo libro. «La Seconda Guerra Mondiale con le armi di distruzione di massa è stata il bigliettino da visita della rivincita della borghesia. La borghesia con Hiroshima e Nagasaki ha annunciato al mondo di essere capace di toccare quel livello di intervento nelle questioni del globo». E il vecchio comunista si fa venire in mente l'ennesimo dubbio. «Sarei curioso di sapere come si insegnano questi avvenimenti nelle scuole» e poi aggiunge. «Sull'altro crinale della guerra c'è la Rivoluzione d'Ottobre, il leninismo, che delineano un altro disegno per la storia, un altro mito che è stato anche il mio e di cui riconosco la sconfitta».

Ma per un uomo che «riesce a dare solo certezze» come suggerisce Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, non è sufficiente spiegare la disperazione della sconfitta. Ingrao suggerisce anche la soluzione. «Con il mio libro, però ho voluto dire che tutto questo è chiuso. A noi si presenta un altro quesito. Adesso? Adesso, come dico nelle ultime pagine del mio libretto l'autodistruzione continua - avverte Ingrao - la guerra continua, e continua con la teorizzazione della guerra preventiva. Laddove prima tra la guerra e la non guerra c'era uno spazio di riserva per la vita, oggi siamo davanti alla legittimazione della guerra preventiva di Bush». Il titolo del libro, La pratica del dubbio, seppure evocativo della annosa ricerca di Pietro Ingrao, non rende giustizia al contenuto. Nell'agile libretto non c'è niente che somigli al minimo dubbio, l'autore stesso lo conferma.

E sul finire della appassionata e appassionante lezione, quando proprio è necessario stringere e concludere il maestro delle lotte di un secolo ha un'esortazione per tutti: «discutere di ciò che è finito con la sconfitta e di come sia nata dal seno della borghesia la giustificazione della distruzione di massa che dura ancora oggi».

Poi, come sempre, con il pugno alzato e un bacio per la platea che lo applaude in piedi Pietro Ingrao conclude: «questo mio libro è l'allusione un po' disperata, e lo dico con una frase un po' retorica ma vera, alla scomparsa della parola pace da questo secolo».


Pubblicato il: 10.12.07
Modificato il: 10.12.07 alle ore 5.12

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=71261

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3 commenti:

Franca ha detto...

Uno degli ultimi grandi

Equo ha detto...

Cloniamolo!

Anonimo ha detto...

Al di là della specialità di quest'uomo, ci sono ancora giovani (politici e non) rintanati all'interno dei partiti e/o fuori (come dicevo in un precedente commento).
Possiamo avere altri Ingrao, nonostante la cultura in cui viviamo oggi tenta (a differenza di quanto accadeva prima) di demolire i soggetti più che onorarli/incentivarli per il lavoro che svolgono/hanno svolto.
Se Ingrao e le sue battaglie sono state grandi, lo è stato anche per il tipo di informazione e cultura dell'epoca.
Per finire: le battaglie che oggi, i nuovi soggetti politici (soprattutto al di fuori della politica convenzionale) tentano di portare avanti, vengono stigmatizzate proprio da chi, preferisce cullarsi nella nostalgia.
Così non si va avanti.