La guerra è madre di tutte le cose. Divagazioni semiserie di un cuore irriducibilmente anarchico
"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
giovedì 13 dicembre 2007
UNA FONDAZIONE ENZO BIAGI
Un mese fa è morto Enzo Biagi ( 06/11/2007) e attorno alla famiglia si è ricomposto il silenzio dopo il coro appassionato di chi ne ricordava la responsabilità morale nello scrivere la cronaca dei nostri giorni. Ma il sottolinearne la moralità ha suscitato pruriti di intolleranza. “Coccodrillismo impazzito, psichisimo incontrollato”. Per Giuliano Ferrara l’ Italia dei cretini si è lasciata andare così. Ma l’ Italia dei cretini insiste ed è successo qualcosa.
Montanelli aveva regalato a Fucecchio ( paese dove è nato ) tutte le carte della sua vita, e quando Biagi è passato di lì si è immalinconito:”Non voglio finire in un museo. Sono un cronista che ha raccolto le storie degli altri. Mi piacerebbe aiutare l’impegno dei ragazzi che cominciano la cronaca, con le carte di chi per sessant’anni ha cercato di non essere l’uomo di nessuno”. Nella solitudine dell’esilio Rai sfogliava i giornali e accendeva la Tv sconfortato dalla mollezza di certe facce nuove ben disposte a remare nelle acque dei padroni. Fragilità di chi vuol restare a galla e quando impara come non si affonda, cortigiano per sempre: la sua amarezza.
Loris Mazzetti, compagno di viaggi e malinconie, entusiasma Biagi con una proposta: raccogliere libri, appunti e trasmissioni in un centro studi legato a un’università e appena l’università Modena-Reggio Emilia incorona la lealtà con la laurea ad onore, Biagi si convince che l’idea non è peregrina. Giuseppe Giulietti, ‘articolo 21’, ne parla al ministro Mussi che subito la sposa, ma i tempi della politica sono lunghi. Enzo se ne va mentre Mussi, Giulietti e Loris Mazzetti stanno per annunciargli la nascita della fondazione. Marchetti, presidente Rcs, Cappon, direttore Rai e Regione Emilia-Romagna sono d’accordo. Bice e Carla Biagi, commosse. Carla ne sarà il presidente.
Biagi sorrideva quando Carla lasciava i banchi del liceo per sfilare nella Milano ’68: “E’ l’intellettuale di famiglia. Prende il taxi per non arrivare in ritardo alla rivoluzione”. Bice e Carla inventano un premio per giovani cronisti, ogni anno a Pianaccio. Nessuna santificazione, Enzo ne sarebbe furioso, solo un modo per invogliare alla trasparenza chi racconterà l’ Italia di domani. Due volte ho invitato Biagi all’università. Con la modestia di un artigiano senza nome liquidava i ricordi preferendo spiegare come è possibile maneggiare la chincaglieria della professione per non seguire l’onda dell’informazione plastificata da cortigianerie e protezione di onorevoli. Raccomandava cose che tutti i giornalisti sanno, ma i ragazzi no: come fare un’inchiesta prima di scrivere le domande dell’intervista o usare le informazioni raccolte per ribattere ad interlocutori allenati all’elusione. Coriandoli per vecchi naviganti, ma i nuovi ne hanno forse bisogno. Rimpiccioliva anche il mito dell’inviato speciale nel profilo di “un cronista che si documenta in un’altra città”.
Ha lasciato non solo libri: montagne di appunti, progetti per viaggi, racconti, incontri. Quando Antonio Di Bella lo ha richiamato in Tv, si pensava ad un’ antologia delle sue interviste famose, ma Biagi non ne era convinto: “Macché esercizi di memoria. Sono ancora qui e guardo cosa succede. Raccontiamo i problemi della gente. Facce qualsiasi, nessun politico. Tutte le sere i politici vanno in Tv mentre i senza nome non hanno voce”. Ricomincia parlando con loro. L’introduzione a ‘Gli anni neri della Rai’ sono le ultime righe che ha scritto. “So che dovrei parlare di questo libro, ma è difficile perché è come se lo avessi letto tante volte. Sono contento che Mazzetti abbia raccontato una Tv pubblica nella quale è protagonista: pochi la conoscono, un modo per dare un contributo a rifondare quella Rai che la gente vuole. Non è un libro di scoop: mette in fila i fatti, raccoglie testimonianze, dà voce a tanti che hanno resistito e resistono a un potere che così occulto non é…”.
Insomma, dentro tutti sanno. Era il 5 ottobre, due mesi e qualche giorno fa: parole d’ addio. Prima che le famose chiacchiere al telefono finissero su Repubblica, il libro documenta il travaso Mediaset-viale Mazzini negli anni d’oro del Berlusconi al governo. Alessio Gorla: dal regno di Arcore a responsabile appalti e contratti Rai. Fabrizio Del Noce: da parlamentare azzurro a direttore Rai Uno e la Bergamini trapiantata dalla segreteria del Cavaliere al marketing della televisione pubblica. Via vai non sbadato: ente pubblico scomposto in micro strutture che gli emissari del nuovo potere controllano senza controlli. Anche Lucia Annunziata racconta di quando presiedeva in solitudine il consiglio d’amministrazione: era il vertice decideva tutto. Direttori Tg e altre testate potevano solo obbedire. Con affetto-disprezzo li chiamavano postini. Per non parlare di Guido Paglia coinvolto nelle bombe di Roma, anni di Piazza Fontana: continua ad essere responsabile delle comunicazioni internazionali. E Cattaneo, amico di Paolo Berlusconi e La Russa, subito direttore generale.
E la delusione di Baldassarre. Nasce Pci, amico di Natta, ammiratore di Ingrao. Socialista anni’80, si perde nei salotti di Previti e diventa presidente della Corte Costituzionale. Berlusconi- Fini lo insediano in viale Mazzini. E Biagi lo invita a Il Fatto. Domande senza sconti e risposte che sembrano chiare. “Sarò garante di tutti i giornalisti”, ma non alza un dito per telefonare a Biagi tanto per sapere cosa sta succedendo quando firma la lettera di licenziamento dell’obbediente Saccà. “Hai fatto bene a mettere in fila le storie di questa Italia minore”, finale dell’introduzione. “Però hai tanta strada davanti. Scripta manent, quello che scrivi resta. Stai attento. Sfogliando il libro mi sono convinto che Mazzetti doveva farlo. Ho per lui la preoccupazione di un vecchio amico di fronte ad un uomo più giovane che non sopporta le ingiustizie e non si preoccupa di denunciarle. Magari ci rimetterà qualcosa”.
Ma i problemi tra Biagi e Berlusconi non nascono con l’intervista a Benigni che sorride sulle rincorse del piccolo lombardo con gli stessi graffi di qualche sera fa, prologo alla lettura Tv di Paolo e Francesca. Benigni continua a tornare in Tv, Biagi no. Il Fatto era lungo sei minuti, sei minuti “criminosi nei quali ho perso 1 milione e 800 mila voti”, lamento pubblico del Cavaliere. I problemi sono antichi. 1993: l’intervistatore seduto con le sue domande davanti al signore che ha cambiato idea e si è messo in politica, esprime la curiosità di tutti “Un imprenditore di successo che ha sempre giurato di non amare la politica, improvvisamente si dà alla politica: lo trovo strano…”. “Come la Monaca di Monza, lo sventurato rispose. Andava capito. Era il momento di svolta nel bilancio dei suoi misteri “, ricorda Enzo nei giorni del limbo Tv. Trema per la P2 disarticolata; protettore Craxi nei guai e amici del Sud diffidenti. “Se non scendo in politica mi mandano in galera e le mie aziende falliscono”, trema il Berlusconi che non vuol perdere il sogno. E Biagi, altrettanto sventurato, lo scrive sul ‘Corriere della Sera’ e sull’’Espresso’. Mai smentito, ma è un peccato senza ritorno. Lezione della quale il Cavaliere terrà conto per sempre: è la sua ultima vera intervista senza rete. Punto di svolta, comincia la nuova vita: smentire, smentire, smentire.
Dopo il trionfo elettorale, Biagi fa sapere al primo ministro del primo governo Berlusconi di voler cominciare la prima puntata del Fatto proprio con lui. Il Cavaliere vuole controllare le domande. “E non dà più segno di vita fino al diktat bulgaro e alla lettera di Saccà”. Ma anche senza Tv, Biagi resta mina vagante. Cocciutamente libero: nessun partito o uomo forte lo protegge. Imprendibile per Berlusconi e tutti gli altri. Corriere, Espresso, libri, continua a scrivere: insomma, pericoloso. Comincia la campagna dello sputtanamento affidata ai volonterosi del libro paga. Insulti, prese in giro, allegria dissacrante contro “il povero vecchio” che ricopia frasi scritte dieci anni fa: ecco le terribili prove. Nei giorni delle borse che saltano e dell’economia traballante parla della gente che non conta, che non fa le settimane bianche, che non arriva a fine mese, insomma vecchiume lontano dalla modernità. Per favore, Biagi, torna nel nostro mondo.
Ma Biagi non torna e la sua cronaca continua. Nave scuola degli intrepidi Il Giornale della famiglia Berlusconi con appositi satelliti e cortigiani: perseverano fino a quando il poveruomo non è proprio sotto terra. Cappellano militare degli avanguardisti “il caro, amatissimo don Gianni”, Baget Bozzo, naturalmente. Manda una lettera al Foglio e Giuliano Ferrara amorevolmente la apre in prima pagina: “Ho sempre considerato il giornalista scomparso un campione di conformismo che individuava a colpo sicuro il punto di riferimento del suo pubblico e di penne di sinistra, perché, come si dice a Genova ‘c’aveva la sua convenienza’ ... Essendo vecchio non ho più rispetto umano… Ho sempre chiuso la Tv quando la sinistra italiana…” si commuoveva per Biagi e lo ha fatto “… a nome di tutti coloro che non considerano il defunto un campione di libertà e di pubblica virtù”. Fra i coloro c’è il cardinale Tonini. Baget Bozzo non trattiene lo sdegno: “da sempre mi onoro di non stimarlo. Si vergogni eminenza”. E’ una rabbia che commuove Ferrara: “Caro don Gianni, lei è in eccellente compagnia. Numerosi amici e lettori avrebbero voluto che il Foglio rispondesse puntualmente alla ripugnante campagne di moralismo castale che ha accompagnato la morte di Enzo Biagi, trascinando ogni residua civiltà del discorso pubblico, politico, ecclesiale, pubblicistico nella fanghiglia delle delle vanità politiche e giornalistiche o nel più puro rancore personale o di combriccola”.
Dietro i pensatori l’impegno dei manovali.. Voglio ricordare il più devoto: Filippo Facci, ardito dell’insulto. Il giorno dopo la morte di Biagi scrive un’intera pagina sull’apposito Giornale di Famiglia. Non c’è mai stato un anatema bulgaro, Berlusconi immacolato, senza contare che il defunto ha preteso anche la liquidazione quando l’hanno mandato via. “Orribile e schifosa” l’ Unità che racconta il dolore dei suoi ultimi giorni. Nel pezzo dei veleni galleggia il minuscolo riquadro dell’ipocrisia: “Oggi i funerali nel paese natale”. Per far capire ai cronisti di domani quale tipo di lealtà é dovuta ai lettori o alla morale dei padroni di certi vaporetti, sarebbe utile se il laboratorio dell’università di Modena e Reggio Emilia completasse la raccolta includendo la prosa di chi non lo sopportava. Sfogliando Biagi, Baget Bozzo, Facci, Ferrara, eccetera, i ragazzi potranno liberamente scegliere se diventare testimoni della realtà o palafrenieri nella real casa.
1 commento:
GRAZIE ENZO!!!
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