8/12/2007
«Serviva la fusione. Bertinotti? Da presidente della Camera non avrei mai parlato come lui di Prodi»
RICCARDO BARENGHI
ROMAIl grande vecchio della sinistra italiana non ci sarà. Pietro Ingrao ha deciso di non partecipare agli Stati generali della Sinistra-Arcobaleno, oggi e domani alla nuova Fiera di Roma. Nonostante sia il nume tutelare di quest’area politica, nonostante molti degli attuali dirigenti e militanti della sinistra radicale ancora lo guardino come un faro nella nebbia, nonostante abbia partecipato con tutti i suoi 92 anni al corteo del 20 ottobre – fece titolo il suo grido dal palco: «La lotta continua» – nonostante tutto questo, Ingrao non ci sarà. Il programma prevedeva che domenica a mezzogiorno lui arrivasse insieme a Fausto Bertinotti. Ma Bertinotti arriverà da solo.
La ragione ufficiale è che domani, alla stessa ora, Ingrao deve presentare il suo ultimo libro, La pratica del dubbio. Ma quella vera è che Ingrao «non è convinto» (sua frase storica che usò all’XI congresso del Pci nel 66: «Cari compagni, se dicessi che mi avete convinto non sarei sincero»...), non è convinto di come si stia costruendo questo nuova Cosa a sinistra: «La Federazione non mi persuade, avrei capito una fusione. Ossia la nascita di un nuovo Partito e pure consistente. Ma così non ne capisco il senso. Quando per esempio Mussi ha rotto coi Ds, secondo me avrebbe dovuto entrare in Rifondazione. Cioè in un Partito riconoscibile e riconosciuto dalla gente che incontro per strada. Per non parlare di Diliberto, chi rappresenta Diliberto?». E quindi? «E quindi mi sembrano troppo frantumati, troppo timidi, ci vorrebbe più linearità, più nettezza, più semplicità di condotta. Più coraggio insomma».
Detto questo, Ingrao però precisa che certo lui non vuole fare la parte del «vecchio professorino, per carità, ci mancherebbe che alla mia età mi mettessi a dare lezioni... Non ci vado ma spero che questa nuova Cosa cammini. La situazione politica generale è così confusa, così deteriorata che c’è assoluto bisogno di una consistente forza di sinistra».
Lui che ha sempre vissuto di politica, si sente oggi sempre più estraneo alla politica. Considera Prodi «un moderato, Veltroni altrettanto», e questo governo «non mi soddisfa per niente». Non sa perché Mastella stia lì, e ce lo chiede: «Che fa, che vuole Mastella». Non sappiamo rispondergli. Confessa anche che non ha nemmeno capito le ragioni dell’ultima uscita del suo amico Fausto – «un vero amico per il quale nutro grande affetto e stima» – ossia quell’intervista a Repubblica in cui attaccava pesantemente il governo e Prodi in persona paragonandolo a un «poeta morente». Al vecchio leader della sinistra comunista, quella sortita non è piaciuta per motivi istituzionali, «quando io ero Presidente della Camera non ho mai fatto nulla del genere né ho mai pensato di farlo». Ma anche per motivi politici, gli è sembrata un’iniziativa estemporanea e troppo solitaria: «Con chi ne ha parlato, con chi l’ha concordata?». E soprattutto: «Perché l’ha fatta, a cosa voleva portare, cosa voleva ottenere?». Domande alle quali Ingrao non ha trovato ancora risposta, e che lo lasciano interdetto.
Tuttavia, anche senza di lui la Cosa rossa, anzi ormai multicolore, comincia a muoversi. Oggi pomeriggio i lavori si articoleranno in diversi work-shop, ovvero seminari tematici. Domani invece sul palco si alterneranno dirigenti nazionali e locali, fino naturalmente ai leader dei quattro partiti che costituiscono la Federazione: Giordano, Mussi, Pecoraro e Diliberto. Si capirà allora se a questo primo passo ne seguiranno altri, se cioè si tratterà solo di una semplice Federazione, che poi significa in sostanza poco più di un cartello elettorale, oppure se l’idea sia sul serio quella di far nascere un nuovo soggetto politico. Insomma un nuovo partito, con conseguente scioglimento dei quattro esistenti. Non è affatto detto che vada così, tutt’altro: le divisioni non mancano su molti temi, dal rapporto col governo alla legge elettorale. Così come non manca la paura di contaminarsi, di sciogliere la propria forza senza sapere dove andrà a finire, di rinunciare al proprio ruolo, al proprio simbolo, al nome. Insomma all’identità. E infatti tutti dicono che pure se si uniscono, ognuno resta con la propria identità, saranno insomma «un soggetto plurale» (un bell’ossimoro). Comunque almeno alle prossime elezioni amministrative, saranno insieme sotto lo stesso simbolo. Una prima prova per misurare il consenso, che nei sondaggi attuali oscilla tra l’8 e il 12 per cento.
Infine, il problema del leader. Che non c’è. Avrebbe dovuto essere Bertinotti, ma fa un altro lavoro e non ha nessuna intenzione di dimettersi da dove sta. E tra quelli disponibili, nessuno ha le caratteristiche adatte, oltre al fatto che ognuno è geloso dell’altro. Potrebbe allora spuntare fuori un outsider, per esempio Nichi Vendola, sponsorizzato proprio da Bertinotti. Ma prima i quattro dovranno decidere se saranno una Cosa sola o quattro cose che si uniscono all’occorrenza (le elezioni) per poi marciare divisi. Dopo di che mettersi d’accordo su chi sarà il loro capo. Ci riusciranno?
MULTIMEDIA
fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200712articoli/28272girata.asp
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3 commenti:
Comprendo il compagno Ingrao...ma avrei voluto ugualmente un suo coinvolgimento più diretto... come garanzia di serietà e lucidità politica, se non altro.
"Ma così non ne capisco il senso. Quando per esempio Mussi ha rotto coi Ds, secondo me avrebbe dovuto entrare in Rifondazione. Cioè in un Partito riconoscibile e riconosciuto dalla gente che incontro per strada. Per non parlare di Diliberto, chi rappresenta Diliberto?». E quindi? «E quindi mi sembrano troppo frantumati...."
Comprendo anch'io. Ma avrei voluto come Equo.
Massimo rispetto per il compagno Ingrao, ma personalmente oltre una Federazione io non mi sento di andare. Non credo di aver molto da spartire con Mussi distante anni luce da noi...
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