"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

domenica 16 dicembre 2007

30 anni fa moriva Danilo Dolci



di Gianna Mazzini

contro la mafia e la povertà


Diceva così: ciascuno cresce solo se sognato, cioè che una persona bisogna immaginarsela meglio di come appare e allora lo diventerà. Danilo Dolci era nato a Sesana, in provincia di Trieste, il 28 giugno 1924. Per mantenersi agli studi di Architettura insegna Scienza delle costruzioni in una scuola serale a Sesto San Giovanni e qui conosce Franco Alasia, che diventerà l’inseparabile amico di tante future battaglie. Verso la fine del 1948 conosce padre Davide Maria Turoldo e riceve da lui un insegnamento che non dimenticherà mai: «Godi del nulla che hai, del poco che basta giorno per giorno: e pure quel poco, se necessario, dividi. Vai di paese in paese e saluta, saluta tutti, il nero, l’olivastro e perfino il bianco». Padre Turoldo gli parla anche della comunità di Nomadelfia fondata da Don Zeno Saltini a Fossoli in provincia di Modena. Nomadelfia era un ex campo di concentramento dove si accoglievano, nel dopoguerra, bambini abbandonati o orfani. Danilo, a un passo dalla laurea lascia gli studi, la fidanzata, la famiglia e gli amici e va a vivere, povero fra i poveri, nella comunità.
Dopo due anni Danilo decide di muoversi da lì.

Cerca un altro posto dove portare il suo gran desiderio di dare, ed è a quel punto che gli viene in mente Trappeto, il paesino della Sicilia occidentale dove era stato da bambino col padre capostazione. Trappeto era, in quegli anni, un agglomerato di case senza strade, senza farmacia né fogne, senza medico e senza lavoro. Danilo ci si trasferisce.
Ad accoglierlo i pescatori: «Danilo, che sei venuto a fare? – Dobbiamo vivere in comunità, cambiare il mondo – ci diceva. Ma noi nun lo capivamo che voleva dire iddu», mi dice Zi ‘Ntoni Russo, ricordando quel momento.
È il 1952. L’Italia povera del dopoguerra.

In pochi mesi Danilo riesce a comprare due ettari di terreno appena fuori dal paese, per quello che diventerà il “borgo di Dio”.
Benedetto Zenone, bambino cresciuto al borgo di Dio, oggi adulto, mi racconta che nel ‘52 a Trappeto si moriva a mucchi entro il primo anno di vita. Che anche da parte degli adulti c’era una rinuncia alla vita, a lottare anche per le cose più elementari, una sorta di fatalismo ignorante che bloccava le braccia e le teste e che non faceva reagire. Ecco dove comincia a costruire Danilo Dolci: comincia a lavorare alla consapevolezza del sé, alla capacità di cambiare le cose che ci circondano anche quando sembrano colossi vecchi di secoli e impossibili da spostare.

Pochi mesi dopo il suo arrivo Danilo si sdraia nel letto dove qualche mese prima era morto Benedetto Barretta, un bambino di appena un mese, e inizia il primo sciopero della fame per richiamare l’attenzione pubblica sulle condizioni di vita di quel paese. Negli stessi mesi scrive il libro Fare presto (e bene) perché si muore. Si moriva nella Sicilia occidentale, si moriva di parto, di fame, di povertà, di follia. Si moriva troppo.



Quel suo gesto (Danilo è già rinomato per il suo impegno civile e per la bellezza delle cose che scrive) suscita una vasta eco presso la stampa nazionale ed estera. Gli scrive Aldo Capitini, l’altro grande nonviolento della nostra storia. Arrivano lettere di sostegno da tutta Europa. E dopo otto giorni di digiuno arrivano anche i primi aiuti dallo stato per coprire la fogna a cielo aperto che attraversava il paese. È il momento di allargare il “borgo”: alcuni amici gli inviano denaro per costruire due casette che diventeranno l’asilo e l’università popolare.

«Bastava andare su per quella salitina e ci sembrava di stare sulla luna» ricorda Benedetto Zenone. Al Borgo si riunisce la gente del paese. Lì si comincia ad ascoltare musica: Bach, Mozart, Beethoven. Un giorno arrivano persino i fratelli Menhouim, pianista e violoncellista, vengono a suonare sulla spiaggia per tutti, per i pescatori con la coppola che non hanno mai sentito nulla del genere. Sapete come cambiano gli occhi di chi ha sentito fino a quel momento solo mare e silenzio? Sapete che succede quando si scopre che la luna c’è davvero, vicina assai? Che c’è la vita nei suoni, nei disegni, che l’arte serve, serve come un attrezzo, un utensile, che l’arte può girare fra i muri di casa come altrove girerebbe un panino o un cacciavite?

Nel ‘55 esce Banditi a Partinico, libro-inchiesta di Danilo sulle condizioni sociali di quel tempo: lo stato aveva risposto all’ignoranza della gente con la repressione. Non scuole ma galere. Lui, Danilo, propone un modo diverso di operare: dice che se la gente impara a conoscere i problemi che vive, se comincia a discuterli insieme, se riusciamo a far sentire partecipi tutti di un progetto più grande, allora sì che si possono trovare le leve per cambiare, per creare sviluppo.
In quegli anni al Borgo di Dio si discute di tutto.
Seminario sulle stelle: ne parlano un astrofisico, un filosofo e un contadino – mi racconta Amico, il figlio di Danilo, allora scolaro delle elementari. Attraverso queste continue riunioni di autocoscienza popolare con contadini, donne, pescatori, intellettuali, bambini comincia a farsi strada l’idea che cambiare è possibile, che cambiando il modo di pensare cambia anche la realtà intorno. E c’è bisogno del punto di vista di tutti.













La mafia d’allora controllava le popolazioni
della Sicilia occidentale anche attraverso il monopolio dell’acqua. Si doveva sottrarre il potere della mafia sull’acqua. Avere acqua. Durante una riunione di autocoscienza popolare dove se ne discuteva, un contadino, Zi Natale Russo, dice «ci vorrebbe nu vacile» per trattenere l’acqua. Un “bacile” per un architetto come Dolci è un bacino. Nasce così l’idea di costruire una diga che interrompa il corso di un fiumiciattolo, lo Jato, che butta le sue acque nel mare e che potrebbe invece dare ricchezza a tutta la valle. Quando Amico Dolci mi porta sul posto si commuove al ricordo: «Mio padre ci portava qui spesso e davanti a questa valle secca come il deserto, ci diceva: “La vedete l’acqua? Lo vedete il lago?”. E noi non vedevamo nulla e anzi ci veniva un po’ da ridere, ma poi hanno cominciato in tanti a crederci e ora guarda: la diga sullo Jato è lì, lì c’è questo lago pieno d’acqua che continua ancora oggi a far vivere tanta gente». In molti a dire: «Non si costruiscono le dighe con i digiuni o con le poesie». E lui: «Sono uno che cerca di tradurre l’utopia in progetto. Non mi domando se è facile o difficile, ma se è necessario o no. E quando una cosa è necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto tempo, ma sarà realizzata. La diga sullo Jato sarà realizzata per la semplicissima ragione che qui la gente vuole l’acqua».

Poi è la volta del primo sciopero alla rovescia. È il 2 febbraio 1956 e alla trazzera vecchia di Partinico, centinaia di disoccupati, guidati da Dolci, cominciano a lavorare per riattivare una strada di campagna intransitabile. È l’art. 4 della Costituzione che dice che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Lì i soldi non ci sono, le strade neppure ma le braccia sì. Danilo viene arrestato e giudicato «individuo con spiccata capacità a delinquere». Rimane nel carcere dell’Ucciardone per due mesi. Ormai entrata nella storia la difesa che Pietro Calamandrei, uno dei padri della Costituzione, fa del gesto di Dolci. Einaudi pubblicherà poi Processo all’art. 4 che contiene tutta la documentazione del processo. Tutta l’incongruenza dei principi larghi quando scendono nelle maglie strette della vita.



Danilo viene scarcerato e gli vengono riconosciuti moventi di particolare valore morale.
Poi è la volta della battaglia per la lotta alla fame e al degrado nei quartieri di Palermo. Dal 7 al 19 novembre 1957 Dolci digiuna a Cortile Cascino, uno tra i più degradati. Memorabile l’esperienza vissuta in quel cortile da Goffredo Fofi che ne scriverà. Memorabile il film che ne farà Robert Young e quello che venti anni dopo porterà sulle tracce di Dolci anche il figlio di Young. Dolci è un suscitatore di emozioni, un catalizzatore di energie, uno splendido uomo d’azione e fiducia nella vita che si muove e fa muovere chi gli sta intorno.
Dolci è anche uno sperimentatore. In Conversazioni, racconta del suo metodo maieutico nelle riunioni con la gente al Borgo di Dio. Anche chi non ha studiato e pensa di non avere strumenti, esprimendosi riesce a comunicare le proprie aspirazioni, riconosce e valorizza le proprie esperienze, cresce e si sviluppa conoscendo l’esperienza degli altri.

Ora è la volta della lotta alla mafia. Il 22 settembre del ‘65 Dolci e Alasia denunciano in una conferenza stampa il risultato di un’autoanalisi popolare compiuta sulla zona: per la prima volta in maniera netta ed esplicitissima si nomina il legame stretto fra mafia e politica. Dolci raccoglie testimonianze contro un ministro dello stato e un sottosegretario che lui accusa di essere collusi al potere mafioso. Due mesi dopo inizia il processo per direttissima contro Danilo e Franco su denuncia dello stesso ministro e del sottosegretario. La Corte di Roma respinge una lunga lista di testi indicati nella difesa e a quel punto Danilo e Franco comunicano tramite lettera alla Corte di rinunciare. Ma qualche mese più tardi si svolge a Roma una grande protesta popolare davanti al Parlamento e alla sede della Commissione antimafia. I notabili di cui si è documentato il rapporto con la mafia saranno ormai esclusi dal governo. È una vittoria.
Danilo riceve proprio in quegli anni due candidature al premio Nobel per la pace. E premi, e lauree ad honorem. E gratitudine.












Ora è la volta delle azioni per i terremotati del Belice.

Il 25 e il 26 marzo 1970 una radio libera diffonde da Partinico la voce «dei poveri cristi della Sicilia occidentale». Franco Alasia e Pino Lombardo trasmettono notizie sulle condizioni dei terremotati. Interviene la polizia con grande spiegamento di forze e interrompe le trasmissioni. Ma il gesto rimane. La prima radio libera che cerca di dar voce a chi non ne ha. Che interroga chi non ha mai avuto accesso alla parola che conta, alla parola che cambia.
Poi è la volta della scuola. Il 23 novembre 1970 si firma il compromesso di acquisto di circa dieci ettari in contrada Mirto su cui nascerà un nuovo centro sperimentale educativo: un posto immaginato dai bambini e dalle mamme, dove i piccoli possano imparare volentieri. È un atto di fede nella vita. Nel ‘74 le ruspe cominciano a scavare: nasce la scuola nuova. Nell’‘83 la scuola materna di Mirto è finalmente riconosciuta scuola statale sperimentale.

E ce ne sarebbero molti altri di eventi, episodi, discorsi, gesti da raccontare. Danilo Dolci muore il 30 dicembre 1997.
Nell’armadio pochi vestiti. In casa pochi mobili e migliaia di libri, nelle teste di chi lo ha conosciuto milioni di ricordi forti come quando vedi la neve per la prima volta. O tocchi l’acqua.


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fonte: http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A=564&R=1&C=102

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3 commenti:

Franca ha detto...

Si può commentare con una sola parola: gratitudine.
Per uomini come questi che ci fanno sperare che davvero "un altro mondo è possibile"

Anonimo ha detto...

Grande Danilo, un sognatore che sapeva credere nei suoi sogni. A dispetto di tutto e di tutti. Senza badare al benessere di sè, senza egoismi nè false velleità.. Dimenticando sè stesso e realizzandosi nei "sogni".
Ecco cosa è stato Danilo: un "sogno" portato a compimento, ed un esempio luminoso che parla a tutti nella lingua universale dell'amore. "Credi nei tuoi sogni e li realizzerai".
Grazie Danilo. E, se puoi, torna. Con altri nomi e con altri corpi, ma torna.
Perchè davvero, come diceva il mai troppo rimpianto Gaber, qui "l'uomo muore".
mauro

elena ha detto...

Forse, più che parlare di gratitudine e/o sperare che torni un uomo così (magari più d'uno...), faremmo meglio a rimboccarci le maniche ed a ripartire da dove lui ha lasciato... e lo so che è dura! Ma lo è stata anche per lui, no? :)