Deceduti Roberto Scola, Angelo Laurino e Bruno Santino
Altri 3 sono in fin di vita. Oggi incontro sindacati-azienda. Lunedì sciopero
E' strage
Primi accertamenti: un estintore era vuoto e il telefono di emergenza non era attivo
Bonanni: "Fermare la strage". Cgil, Cisl e Uil dichiarano tre giorni di lutto nazionale
Roberto Scola, 32 anni, due figli, la seconda vittima dell'incendio nell'acciaieria
"La notizia di altri morti è spaventosa": così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha commentato i decessi nel rogo di Torino. Per le vittime dell'acciaieria la Scala ha osservato un minuto di silenzio prima dell'inizio del tradizionale spettacolo d'apertura della stagione. "Un gesto dovuto ma sincero" ha detto il presidente. "Un segno di attenzione nei confronti di un dramma oggi ancor più acuto".
Era facile, purtroppo, prevedere che le vittime dell'incendio che la notte scorsa ha distrutto la linea 5 laminati dell'acciaieria in corso Regina Margherita, sarebbero salite di numero. La prima, Antonio Schiavone, 36 anni, di Envie nel Cuneese, era sposato e padre di tre figli di 4 e 6 anni, e di un maschietto nato appena due mesi fa. In ospedale restano tre operai in condizioni gravissime, hanno ustioni tra il 60 e il 90% del corpo: Giuseppe De Masi (26 anni) ancora al Maria Vittoria, giudicato intrasportabile, Rosario Rodino (26 anni) trasferito al Centro grandi ustionati di Genova, Rocco Marzo (54 anni). Un compagno di lavoro, ricordando quei tragici momenti, ha detto: "Sembravano torce umane".
Ieri, per tutta la giornata la fabbrica ha reagito con rabbia, anche perché la ThyssenKrupp - dove cinque anni fa aveva preso fuoco un treno di laminazione che aveva prodotto un incendio domato soltanto dopo tre giorni - per tutti era diventata la fabbrica "dei ragazzi", il 95 per cento dei 180 dipendenti rimasti ha meno di trent'anni.
Rabbia perché "gli estintori erano semivuoti ma sigillati e quando si è tentato di usare gli idranti l'acqua non c'era". Tocca alla magistratura accertare le responsabilità insistono i delegati sindacali, ma certo la condizione di dismissioni (quel reparto doveva chiudere a febbraio) è giudicata la ragione dell'allentamento dell'attenzione sulla sicurezza. Le indagini della magistratura partono proprio dal confronto con l'incendio del marzo di cinque anni fa per accertare se le dinamiche possono essere state analoghe e soprattutto se l'azienda ha rispettato le prescrizioni fatte allora. Gli accertamenti hanno intanto confermato che il primo estintore usato dagli operai era vuoto e che il telefono di emergenza non era attivo.
Oggi le organizzazioni sindacali hanno incontrato i vertici dell'azienda e nel frattempo preparano un dossier con l'elenco dei problemi finora denunciati.
Cgil, Cisl, Uil. "Basta con la strage, la situazione è gravissima". I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti lanciano l'allarme dopo gli ultimi morti sul lavoro sottolineando - in una nota congiunta - che "non è più tollerabile questo continuo stillicidio: ognuno deve assumersi le proprie responsabilità".
A partire da lunedì, quando Torino si fermerà, i segretari generali chiamano così "il mondo del lavoro a tre giorni di lutto e invitano i lavoratori ad esprimere sui luoghi di lavoro la propria partecipazione al cordoglio con un segno visibile, una fascia nera al braccio".
Nei prossimi giorni Cgil, Cisl e Uil promuoveranno "importanti iniziative per la sicurezza, affinchè questa strage finalmente si arresti", annuncia infine la nota.
(7 dicembre 2007)
fonte: http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/cronaca/incendio-acciaieria/seconda-vittima/seconda-vittima.html
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L'azienda era in ritardo su una commessa: per non pagare penali ricorreva a maxi straordinari.
"Per paura di perdere il lavoro si accetta tutto"
Quei turni infernali di 12 ore
"E chi rifiutava perdeva il posto"
di PAOLO GRISERI
L'ingresso dello stabilimento
Uno che si è salvato, non solo dal licenziamento. Si chiama Ermido, anche lui ha 27 anni: "Mi sono licenziato il mese scorso, per evitare guai peggiori. Ho lavorato cinque anni alla Thyssen, facevo i turni in finizione. Mai un richiamo, mai un rimprovero. Poi, da settembre, la musica è cambiata. Ci chiedevano straordinari a go go, turni su turni. Io non volevo, c'erano ancora i miei compagni in cassa, dicevo: "Riprendete uno di loro". Un giorno mi sono rifiutato. Mi hanno mandato la lettera a casa. Dopo la seconda volta ho deciso di uscire da quel posto. Non vivo da solo. Sono ancora con i miei, ho potuto permettermelo. Ma tanti miei compagni che hanno famiglia facevano i turni di 12 ore".
Gli operai attendono la fine dell'incontro tra i sindacati e l'azienda. Incontro breve. Il tempo di guardarsi in faccia e dirsi che "oggi non c'è spazio per una trattativa normale". I sindacati chiedono solo "che l'Asl ispezioni tutta la fabbrica prima di riprendere il lavoro". "Devi capire - dice Giuseppe - che noi non siamo una fabbrica normale. Noi siamo tutti ragazzi. Siamo amici, giochiamo a pallone insieme, andiamo in discoteca, turni permettendo. E adesso ci ritroviamo qui a contare i morti".
E' dura morire proprio quando sta per morire la fabbrica. O forse proprio perché la fabbrica è in disarmo. E' come per un atleta cadere all'ultima curva. La storia recente della Thyssen di Torino è la storia di tante debolezze. Ciro, delegato di stabilimento, fa il mea culpa: "Certe volte, per paura di perdere i posti di lavoro, a noi siderurgici può capitare di monetizzare la salute". Come dire che certe volte anche i sindacalisti chiudono gli occhi. Chi poteva fare il difficile durante il fuggi fuggi? Perché dopo l'estate la fuga dalla Thyssen è stata massiccia: "I più qualificati, i manutentori, sono andati tutti alla Teksfor di Avigliana, un'acciaieria a pochi chilometri da qui. Da troppi che eravamo, siamo diventati improvvisamente troppo pochi".
Ciro aggiunge: "Scapperebbe chiunque sapendo che stanno per chiudere la tua fabbrica". Il piano concordato con Fim, Fiom e Uilm prevede la fine delle produzioni torinesi il 30 settembre 2008. Ma il reparto 5, quello dell'incidente, avrebbe comunque chiuso a febbraio. La tragedia ha anticipato i tempi di due mesi e mezzo.
Il fuoco di giovedì notte si è portato via l'élite della laminazione a freddo ("è solo un modo di dire - avverte Ciro - il forno va a mille gradi"). Se n'è andato subito Antonio Schiavone, l'unico "primo addetto" della linea, una specie di capomacchina nel gergo siderurgico. Ieri mattina al Cto è morto il suo sostituto, Roberto Scola. A Genova lotta per sopravvivere il terzo nella gerarchia del reparto, Rosario Rodinò. Figure preziose di operai qualificati in una fabbrica che si sta svuotando.
La chiusura programmata della Thyssen di Torino sarà la salvezza dello stabilimento di Terni. Una scelta forse inevitabile nella guerra tra poveri che sempre si scatena nelle ristrutturazioni aziendali. Eliminare l'acciaieria di Terni, 3.500 dipendenti, sarebbe stato come far sparire Mirafiori a Torino. Così, un anno e mezzo fa, i sindacati hanno accettato lo scambio: salvare Terni e chiudere la fabbrica da 400 addetti nel capoluogo piemontese. Mors tua, vita mea. Nel passaggio di consegne qualcosa non ha funzionato. La storia la racconta Giorgio Airaudo, segretario della Fiom torinese: "A Terni si è rotto un treno di laminazione. Non si poteva pagare al cliente la penale per la mancata consegna del materiale. Così l'azienda è tornata a utilizzare a pieno ritmo Torino".
Questo spiega forse il ricorso agli straordinari forzati delle ultime settimane. Ma far marciare a pieno ritmo una vecchia auto perché la nuova è dal meccanico, può presentare dei rischi.
Tutte cose che si scoprono sempre dopo, con l'inutile senno del poi. Storie che si raccontano davanti ai cancelli della fabbrica, in fondo a corso Regina, dove i viali di Torino finiscono e diventano tangenziale. Dove anche ieri i compagni delle vittime sono rimasti tutta la giornata. Per stare insieme, per capire che cosa succede, per vigilare. All'ora di pranzo un furgone tenta di varcare il cancello. E' un attimo. Il passa parola raduna tutti davanti al parabrezza. Ciro urla: "È il furgone della ricarica degli estintori", proprio quelli che si sono dimostrati inutili.
Gli operai chiamano i carabinieri: "C'è un'inchiesta in corso e vogliono cancellare le prove". Tutto si chiarisce in fretta. L'uomo scende dal furgone e si avvia a piedi in fabbrica. Era stato convocato dal magistrato.
(8 dicembre 2007)
fonte: http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/cronaca/incendio-acciaieria/turni-12/turni-12.html
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3 commenti:
Una coscienza di classe ormai annacquata e sindacati che non fanno più il loro lavoro
Sbracamento generale.. e non solo dei sindacati. E' tutta la società che non è capace di avere un senso della propria identità. E' tutto un vivere alla speraindio. Quei poveracci che sono morti (e che ancora moriranno)non è che non avessero la coscienza dell'essere sfruttati, ma avevano famiglia, sogni, desideri, e necessità di uno stipendio che con il supersfruttamento del loro lavoro si vedeva leggermente accrescersi.
Morire per un ritardo di commessa.. solo perchè il padrone non vuole pagare le penali, magari pesanti ma che non valgono certo la vita di chicchessia..
Tutto è avvenuto perchè ci circonda solo più l'indifferenza. Indifferenza del tuo star male, perchè devo già pensare al mio.. Indifferenza che uccide.
Ecco cosa sono riusciti a fare le forze padronali: disgregare il mondo del lavoro, facendo sentire gli individui soli e senza speranze. Classi? Non esistono ormai più da un pezzo. Salvo una.
Quella dei ricchi.
mauro
L'amico Pino ha inserito nel suo blog www.diario_di_bordo.ilcannocchiale.it una testimonianza che probabilmente non passerà mai in TV: andate, guardate e diffondete.
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