"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

martedì 22 gennaio 2008

APPROFONDIMENTI - Per una società senza classi e senza genere



di MILA DE FRUTOS

Quando nel 1979 la femminista socialista Heidi Hartmann affermò che le categorie marxiste non considerano la differenza di genere, mise il dito nella piaga degli errori di lunga data da parte di chi ha sostenuto dolorosamente la lotta per la liberazione delle donne, per quanto concerne sia la tradizione borghese, sia quella marxista nelle due versioni socialdemocratica e rivoluzionaria. C’era bisogno di scoprire un nuovo paradigma per la comprensione dei generi? Forse no, dal momento che possono essere utili il metodo e gli strumenti di osservazione esistenti, con il solo accorgimento di cambiare qualche lente, correggere l’angolo e applicare il protocollo (marxista) senza preconcetti né pregiudizi. Sarà sufficiente chiedersi chi produce e chi si appropria della produzione. Facciamo un tentativo.


1. Prima delle origini: il patriarcato pre-capitalista

Sostenere che il patriarcato precede cronologicamente la nascita del capitalismo risulta oggi un’ovvietà. Oppure esisteva l’eguaglianza tra uomini e donne durante il feudalesimo, nella Grecia classica o nella Roma imperiale, in Cina, in Giappone o nell’impero Inca? Il capitalismo non inventò il patriarcato, ovviamente. Engels individua l’origine dell’oppressione delle donne nella nascita della proprietà privata della terra e del bestiame, anche se poi si contraddice sostenendo che le donne godevano di riconoscimento sociale e rispetto durante tutta la Storia, sino all’arrivo del capitalismo. Sembra che il capitalismo ci ha lasciate senza lavoro produttivo e ci ha fatto perdere la nostra posizione nella società e autorità. È certo che il capitalismo trasforma le relazioni patriarcali, così come l’esistenza previa del patriarcato determina importanti aspetti del sistema capitalista. Engels però confonde la particolarità o la specificità del patriarcato nel quadro della produzione capitalista con lo stesso capitalismo. Entrambi i sistemi sono classisti e probabilmente il patriarcato è stata la prima forma di classismo, molto ben sfruttata secoli dopo dal capitalismo, fino a essere così strettamente correlati che difficilmente si può concepire o spiegare un sistema senza prendere in considerazione l’altro, però questo non implica che si debbano teorizzare come una cosa sola. Sono due sistemi indipendenti che si rafforzano e di determinano l’un l’altro. Il pensiero di Marx e di Engels pecca di eurocentrismo e di sessismo, nel tentativo di costruire un sistema in cui comprendere tutti i fenomeni sociali e tutta la storia. La potenza dell’analisi di classe è così forte che offusca lo sviluppo teorico della relazione tra i sessi: la questione femminile finisce così dentro quella di classe affinché lo schema risultasse perfetto. Non venne studiata l’ideologia patriarcale, soggiacente al loro stesso schema, che disprezza gli interessi delle donne, e così manifestarono questa subordinazione nel modo in cui affrontarono la questione. L’ideologia del patriarcato sminuisce i lavori “propri del genere femminile” e li segrega dal resto dei lavori necessari per il sostentamento della vita, disegnato dalla dicotomia artificiale tra la famiglia e il lavoro “produttivo”. In questa divisione, le donne sono subordinate agli uomini. Engels ne è cosciente, però dà la responsabilità solamente al capitalismo senza accorgersi che esso si limita ad adattare e approfondire un conflitto ereditato, confidando in una facile risoluzione per mezzo della collettivizzazione del lavoro domestico. Oggigiorno è difficile comprendere come sia possibile che Engels non considerasse il fatto che le donne nel Medioevo fossero profondamente subordinate agli uomini, nonostante il loro lavoro produttivo, come per esempio quello delle contadine di qualsiasi epoca, e come sia possibile che credesse che noi donne (appartenenti alla classe dei lavoratori) non avessimo mai fatto lavoro produttivo in nessun periodo della storia. Noi donne abbiamo sempre lavorato dentro e fuori dalla famiglia e dopo che ci ebbero espulso dalle fabbriche lavoravamo lavando lenzuola, stirando camicie, vendendo cerini, cucendo in casa per qualche bottega, pulendo androni o accudendo bambini di altri. E, anche se non esisteva una legge apposita, riuscimmo a conciliare la famiglia e il lavoro. Engels non capisce mai che il conflitto si svolge tra le donne e lo Stato (capitalista) e tra le donne e gli uomini. La comprensione di questo doppio conflitto è il grande risultato del femminismo socialista. Marx ed Engels non sapevano nulla sul genere perché la divisione sessuale del lavoro li favoriva come individui di sesso maschile e perché non applicarono correttamente il loro stesso metodo. Le suffragette della loro epoca erano perlopiù di estrazione borghese e appartenenti alla classe media e la separazione di classe si impose dopo la scoperta, molto rudimentale, da parte loro che le donne erano oppresse per il fatto di essere donne. Il pensiero socialista di allora avrebbe dovuto sventolare la bandiera della lotta femminista, evitando così la deriva borghese con la teorizzazione e l’appropriazione di una lotta che deve essere di sinistra in quanto anticlassista. Invece questa lotta fu disprezzata e attaccata, dando vita a un’enorme contraddizione secondo la quale le donne non erano oppresse per il fatto di essere donne bensì per il fatto di appartenere alla classe dei lavoratori. Lo sviluppo industriale avrebbe reso donne e uomini uguali man mano che esse sarebbero state incluse nel lavoro nelle fabbriche, mentre la rivoluzione socialista avrebbe liberato uomini e donne dallo sfruttamento capitalista. Caso chiuso. Però il trionfo di alcune rivoluzioni socialiste dimostrò nei fatti che la disuguaglianza tra uomini e donne, nonostante i passi in avanti che esse consentirono, non spariva automaticamente, che non era sufficiente eliminare la proprietà privata dei mezzi di produzione e includere tutte le donne nel lavoro “produttivo”. Prima di Engels, Rousseau, teorico della borghesia, aveva escluso le donne dal contratto sociale e dall’eguaglianza di diritti politici, applicando l’anteriore statuto del feudalesimo patriarcale: che gli uomini e le donne sono differenti per natura. Engels individua l’errore senza però riuscire a superarlo: stabilisce che la prima divisione del lavoro si dà tra uomini e donne (corretto), però che tale divisione è naturale. Mantiene la contraddizione borghese, introducendone inoltre una nuova, specifica del materialismo storico primitivo, sostenendo che ogni forma di organizzazione della produzione e del lavoro è un’organizzazione sociale, eccetto quella che divide uomini e donne, che invece è naturale (presa di posizione antimaterialista!). Engels, partendo da un primo errore, giunge a un altro, che si è già dimostrato come errore. L’inclusione delle donne all’interno del lavoro salariato non ha portato alla liberazione, come prevedeva, bensì alla doppia giornata. Il primo movimento operaio e i sindacati della seconda metà del XIX secolo - il periodo in cui vissero Marx ed Engels - sia in Europa sia negli Stati Uniti contribuirono all’adattamento della struttura patriarcale al capitalismo fiammante dell’epoca. Esigerono l’esclusione delle donne da determinati settori industriali e dai sindacati perché i loro salari, inferiori, competevano con quelli degli uomini: invece di lottare per un salario uguale, cacciarono le donne; invece di organizzarle, ottennero leggi chiamate in modo eufemistico di protezione delle donne a cui si chiedeva di risparmiare lunghe giornate e lavori pesanti che non avrebbero potuto sopportare a causa della loro debolezza (questo però si tradusse nel fatto che gli uomini si tennero i lavori e i salari migliori), lottarono per il salario familiare affinché le “loro donne” tornassero al focolare domestico e la famiglia fosse meglio accudita. Fu così stipulato un deplorevole patto interclassista contro le operaie che si spiega attraverso le relazioni patriarcali tra uomini e donne e non solo attraverso gli interessi del capitalismo. Ed erano assolutamente certi delle proprie argomentazioni: l’ideologia patriarcale era contestata solo dalle disprezzate suffragette della classe media che in modo ingenuo o interessato credevano che l’eguaglianza di diritti politici avrebbe portato all’eguaglianza reale tra i generi. Confidò nei diritti politici anche il movimento abolizionista (della schiavitù) negli Stati Uniti, che però non si attirò mai critiche e disprezzo così virulenti. Le lavoratrici non ebbero in quel momento la capacità di rispondere e organizzarsi, vittime della loro storica posizione di subordinazione nella società. Le organizzazioni dirette da uomini parlarono in nome loro, dettarono le regole della lotta operaia ed esse accettarono. È curioso che alcuni decenni più tardi la sinistra adotterà come propria la lotta per i diritti politici e per il suffragio femminile: tutto quello che aveva ingiuriato. La realtà, però, è cocciuta e ogni sinistra conseguente non ha altro rimedio che accettare presto o tardi - in questo caso tardi - qualcosa di così ovvio come il fatto che le donne devono avere gli stessi diritti degli uomini. Così abbiamo una tesi socialista secondo la quale non esiste un problema femminile, ma solo quello delle donne della classe dei lavoratori, e la loro oppressione costituisce la forma specifica dello sfruttamento capitalista delle donne. Sull’altro versante si trova il pensiero femminista che sostiene che le donne sono oppresse per il fatto di essere donne: non c’entra nulla l’economia, né la forma di produzione, siamo di fronte a un sistema trasversale come il patriarcato, che è universale e si perpetua lungo la storia indipendentemente dal tipo di società in questione. Finalmente, dalle fila socialiste, sorge la sintesi del femminismo socialista sviluppato negli anni Settanta del XX secolo. Pensiero che prefigura il passaggio dal femminismo utopico (marxista, borghese e radicale) al femminismo scientifico.


2. Femminismo socialista

Il patriarcato non è una questione fondamentalmente ideologica, non è solo un elemento in più della sovrastruttura capitalista: esso è un sistema di sfruttamento delle donne da parte degli uomini. Costoro si appropriano dei lavori e dei servizi prodotti dalle donne. Costituisce inoltre un elemento del modo di produzione. Il patriarcato ha manifestato storicamente un’enorme capacità di adattarsi allo sviluppo economico e nella tappa del capitalismo stabilisce un’alleanza molto vantaggiosa per entrambi i sistemi, che si intrecciano come le fibre di una corda fino a sembrare un’unica cosa, mediante il patto di una forza difficile da piegare. Come tale, il patriarcato ha una propria ideologia, che si confonde per molti aspetti con l’ideologia capitalista, e viceversa. Il femminismo materialista scopre che le donne lavorano per il capitale riproducendo la classe operaia, costruendo un “ambiente tranquillo” (anche se con i propri conflitti interni) in cui i proletari riposano per tornare il giorno seguente alla fabbrica ben lavati e con vestiti stirati, pronti per essere sfruttati, e addolcendo il caos sociale della lotta di classe mediante la stabilità della struttura familiare. Esse inoltre fanno alcuni lavori gratuiti per gli uomini, nel quadro di un rapporto di produzione che vede questi ultimi appropriarsi del lavoro realizzato dalle donne. Questo fenomeno si estende in maniera trasversale a tutta la piramide sociale, cosicché le donne di qualsiasi classe subiscono qualche forma di oppressione e sfruttamento, anche se in maniera ben distinta e con possibilità di superamento così differenti come sono le classi. Infatti, sebbene tutti i lavoratori siano oggetto dello sfruttamento capitalista, un immigrato senegalese o una lavoratrice delle maquilas in Messico non sono nella stessa condizione di un perito informatico madrileno. Le percosse, le violenze sessuali e le vessazioni si hanno tra uomini e donne di qualsiasi classe sociale, e non solo da parte dell’operaio alienato, frustrato e ubriaco che riempie di botte la moglie. E, in ogni modo, perché quell’operaio considera la moglie come una proprietà? Perché l’operaio, il contadino, l’intellettuale o il borghese (o il signore e il servo) hanno diritto di proprietà sulle mogli e sul lavoro che queste realizzano, e perché l’allevamento, la socializzazione e l’educazione dei figli e delle figlie dell’operaio, del contadino, dell’intellettuale o del borghese è compito delle mogli. Perciò sosteniamo che il patriarcato è trasversale e che esistono esperienze simili tra donne di diversa classe sociale. Per chi fanno un lavoro gratuito le donne e dentro quali rapporti di produzione si realizza? Questa è la domanda del femminismo socialista.


3. La base materiale del patriarcato nella sua tappa capitalista

Se tra uomini e donne esistono rapporti di produzione, dobbiamo stabilire la base materiale su cui si sostiene questa relazione. Tre elementi fondamentali costituiscono la base materiale del patriarcato: il lavoro domestico, l’allevamento dei figli e delle figlie e la produzione di amore: affettivo (dentro e fuori della coppia, nell’amicizia, nel lavoro e nella politica) e sessuale (nella coppia eterosessuale). Ossia ciò che costituisce i lavori delle donne. Sappiamo tutte di quali lavori stiamo parlando; gli uomini non tanto, anche se ne hanno un’idea perché molti aiutano: mentre lei pulisce casa il sabato mattina, lui si porta le bambine al parco con il giornale sottobraccio, e di pomeriggio tutta la famiglia va al centro commerciale con la lista della spesa fatta dalla mamma, che è quella che organizza. Però bisogna anche comprendere che le necessità delle persone non si limitano al cibo, al vestiario e alla casa. Affinché una persona socializzi in modo corretto, riesca a diventare adulta con le proprie capacità di relazionarsi ben sviluppate, riesca a diventare un essere sociale pieno, necessita attenzione e affetto, in una parola amore. Questo bisogno non si esaurisce con la maggiore età, ma come il cibo e i vestiti dura tutta la vita. Tuttavia, lo scambio tra uomini e donne è diseguale. Gli uomini si appropriano in quantità maggiore di amore (attenzione, affetto e piacere sessuale) rispetto a quello che restituiscono. Questo scambio diseguale alimenta la loro autostima e l’autorità riconosciuta socialmente (le donne e il “riposo del guerriero” in versione moderna). Questi lavori li realizzano sia le donne che hanno anche un lavoro, sia quelle che non lo hanno. E, così come il capitalismo sfrutta la forza lavoro per un tempo maggiore di quello che paga appropriandosi della produzione, gli uomini si appropriano del lavoro delle donne gratuitamente o in cambio del sostentamento (sebbene quest’ultimo vari molto in relazione alla classe sociale dell’uomo in questione). Hanno struttura simile lo sfruttamento del capitalista sul lavoratore e quello dell’uomo sulla donna. Engels affermò saggiamente che all’interno della famiglia l’uomo ricopre il ruolo del borghese e la donna del proletario. Noi donne siamo più povere e più dipendenti che gli uomini, non solo perché il nostro salario è del 35% più basso, ma perché la cura dei figli, i compiti domestici e l’attenzione verso gli altri ci impediscono di formarci e di crescere. Quando poi ci separiamo abbiamo lavori peggiori, salari più bassi, spese più alte e maggior dipendenza che gli uomini, che continuano ad avere la chiave che dirige la nostra vita.


4. Di quale socialismo necessitiamo noi donne

Lo storico conflitto tra marxismo e femminismo è risultato molto pregiudizievole per entrambi, ma soprattutto per il femminismo che ha patito la subordinazione sistematica di fronte alla potenza del movimento operaio e alla gerarchia di contraddizioni principali e secondarie. La divisione in due fronti inconciliabili ha messo una di fronte all’altra due correnti di pensiero che combattono il classismo e non può essere una scusa il considerare l’implicazione liberale di un settore del femminismo, giustamente criticato, per mettere sotto silenzio un altro settore insufficientemente compreso. Inoltre la lotta per il socialismo è risultata meno efficace per aver escluso dai propri parametri la conoscenza del patriarcato e la vera relazione tra uomini e donne, e tra capitalismo e patriarcato, generando la frustrazione di molte donne di fronte alla paralisi del dibattito femminista all’interno di organizzazioni politiche dirette da uomini. Alcune di queste donne, tuttavia, dedicarono molta energia allo sviluppo di un socialismo femminista veramente liberatore, sia dalla struttura di classe, sia da quella di genere. Durante la seconda ondata di femminismo negli anni Settanta, sorsero molti gruppi di donne che reclamavano l’indipendenza rispetto alle organizzazioni politiche per sviluppare una teoria non contaminata e non subordinata. In moltissimi paesi e quartieri della Spagna, essi diressero la lotta per il divorzio e per l’aborto, per una sessualità libera, per la pianificazione familiare, per l’inclusione nel mercato del lavoro e in generale per la liberazione delle donne. Nelle loro fila e tra i loro dirigenti c’erano donne socialiste che difendevano la necessità della doppia militanza o che, esasperate dall’oscurantismo dei loro partiti o sindacati, li abbandonarono. Non ebbero altra scelta. Sollevarono, in maniera difensiva, il discorso dell’indipendenza organizzativa e invitarono le donne di qualsiasi ideologia alla lotta per la liberazione, dando vita al femminismo radicale. La mancanza di referenti politici, però, come succede ai sindacati “indipendenti”, portò su un percorso di confusione, derive e deviazioni che culminarono con l’abbandono totale dal movimento da parte del polo socialista. Non dobbiamo ripetere gli stessi errori. Oggi, dopo la sconfitta storica dei tentativi rivoluzionari del XX secolo, cerchiamo di comprendere i successi ma anche gli errori del socialismo reale e consideriamo la necessità di formulare un socialismo per il futuro che integri problemi delle fasi precedenti e nuovi conflitti sorti all’interno dello sfrenato sviluppo capitalista. La liberazione delle donne merita di essere uno di questi. Le organizzazioni politiche devono includere il femminismo socialista e contribuire allo sviluppo di correnti femministe al proprio interno affinché il socialismo che ci prefiguriamo non sia patriarcale. I compagni devono riconoscere che gli uomini godono di privilegi a danno delle donne e che questi privilegi devono scomparire. Ci dobbiamo assicurare che il socialismo per cui ci battiamo, uomini e donne, sia lo stesso socialismo, senza classi né generi.


* Coord. - Corriente Roja (Spagna).

fonte: http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=537

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