DOPO LA LIBERAZIONE DI CLARA ROJAS E CONSUELO GONZALEZ DE PERDOMO
di Elisa Marincola
La liberazione da parte delle FARC in Colombia di Clara Rojas e Consuelo Gonzalez de Perdomo ha due effetti immediati: innanzitutto rafforza la speranza di rivedere viva e libera Ingrid Betancourt, e poi, ma non meno importante, dimostra che la via della trattativa è vincente, quando di mezzo ci sono vite umane.
Non è certo d’accordo il presidente colombiano Álvaro Uribe Vélez, che nelle scorse settimane ha dato fondo a ogni manovra e sotterfugio per impedire questa liberazione, dalle maniere forti, con bombardamenti a tappeto sull’area in cui si attendeva il rilascio, alle rivelazioni sul bambino della Rojas, Emmanuel, in realtà ospite da anni di un orfanotrofio. Un particolare che sembrava essersi trasformato in una trappola per il grande mediatore, il presidente venezuelano Chavez, che al piccolo aveva dedicato l’operazione intorno alla trattativa con il gruppo guerrigliero colombiano.
E invece, ha avuto ragione lui: le due prigioniere sono state liberate e le immagini sul rilascio girate in esclusiva dalla ‘allnews’ di Caracas Telesur fanno il giro del mondo, come quelle delle due donne con Chavez davanti al palazzo di Miraflores. “Torniamo a vivere grazie a Lei” ha detto la Rojas, e a Caracas sono arrivati, sia pure a denti stretti, i complimenti persino del Dipartimento di Washington.
Un successo possibile anche per le pressioni del presidente francese Sarkozy, che ha praticamente imposto la mediazione di Chavez, e non certo per simpatia politica con il caudillo venezuelano: a pesare sulla scelta di Sarkozy è stato probabilmente il realismo, la consapevolezza che solo il caudillo bolivariano aveva l’autorevolezza per arrivare a un accordo con le FARC. Considerate l’ala militare del vecchio partito comunista colombiano, le FARC, Forze armate rivoluzionarie colombiane, avevano rifiutato sempre la trattativa con Uribe, che loro definiscono un burattino di Washington che dal 2002 ha imposto al paese il ‘Plan Colombia’, un piano di invasione camuffato da operazione di polizia internazionale contro i trafficanti di droga.
Oggi, molti pensano che la mediazione di Chavez possa aiutare un cambiamento della situazione e l'apertura di un reale dialogo per arrivare alla pace.
Infatti, i vertici della guerriglia hanno da tempo proposto di scambiare la Betancourt e una quarantina di ostaggi importanti nell'ambito di un accordo umanitario con 500 guerriglieri nelle carceri colombiane.
Il prossimo 23 febbraio saranno sei anni dal rapimento della Betancourt. Candidata alle presidenziali per l’alleanza verde, venne prelevata dai ribelli durante una campagna elettorale in cui questa donna giovane e coraggiosa rappresentava la speranza per un paese ostaggio della violenza.
Un paese in cui si contano a migliaia i morti e i ‘desaparecidos’, per mano delle forze armate e dei gruppi paramilitari delle Autodefensas Unidas de Colombia, come hanno spiegato lo scorso ottobre i responsabili del Movimento Nazionale di Vittime di crimini di Stato della Colombia, venuti in Italia a cercare solidarietà. Un esercito di due milioni e mezzo di combattenti disposti a tutto, ben armati, organizzati che da decenni si macchiano di massacri, torture, esecuzioni. Violazioni di tutti i diritti umani. Con la semplice motivazione di colpire la “guerriglia”. Anche se le vittime sono civili inermi, intere famiglie, bambini, ragazzi, donne incinte.
Le associazioni umanitarie chiedono alla comunità internazionale di aiutarli a ottenere che i responsabili vengano giudicati per crimini contro l’umanità e per gravi violazioni dei diritti umani, crimini per i quali non esiste la prescrizione e che possono essere giudicati da qualsiasi tribunale in qualsiasi parte del mondo. Eccetto che in Colombia.
L'attuale governo del Presidente Uribe ha promosso, infatti, un processo di vera e propria legalizzazione dei gruppi paramilitari: nel 2005 ha varato, con l’appoggio finanziario dell’Unione europea, la legge 975, detta “per la pace e la giustizia” e invece nota come legge dell’impunità, applicata solo a vantaggio dei miliziani filogovernativi assorbiti nelle forze armate come “cooperanti militari”. Una norma che, invece di riportare la pace, ha finito per istituzionalizzare un nuovo potere politico mafioso nel paese.
Una realtà che l’Italia non può ignorare. Infatti, le scarse relazioni economiche e politiche ufficiali con Bogotà sono sostituite dai forti contatti tra le mafie italiane e quelle colombiane: prima i cartelli di Cali e Medellin e adesso le formazioni paramilitari che controllano la maggior parte della produzione e del traffico degli stupefacenti colombiani verso l'esteno.
Per tutto questo, per tutto l’orrore che pervade questo lontano paese sudamericano, la liberazione di Ingrid Betancourt è molto, troppo importante: se le FARC riusciranno a ragionare in termini lucidamente politici, abbandonando le farneticazioni dello scontro fino all’ultimo morto, si potrà ottenere un duplice risultato: la libertà per Ingrid e per gli altri 700 ostaggi nelle loro mani, probabilmente anche la liberazione di molti tra i militanti guerriglieri nelle carceri colombiane, e insieme, la sconfitta storica della linea d’intransigenza rigida del presidente Uribe.
Il negoziato ora si fa, quindi, ancora più difficile: adesso Uribe deve dare il suo consenso per lo scambio tra ostaggi e guerriglieri in carcere. Non ha più alibi: deve decidere se vuole la Betancourt e i suoi 700 compagni di sventura vivi e liberi o se decide di lasciarli morire poco a poco (o rapidamente, se riprenderanno i bombardamenti a tappeto nelle regioni controllate dai ribelli).
Adesso, quindi, il mondo dovrà essere ancor più vigile di prima: basterà poco, un’operazione militare di troppo, non solo a interrompere i negoziati tra Chavez e ‘Tirofijo’. Il vero pericolo è che il fuoco amico provochi, magari accidentalmente, la morte di qualche prezioso ostaggio, forse proprio del più prezioso, rendendo inutili le trattative e giustificando un massacro, che ancora una volta lascerebbe a terra combattenti e vittime civili.
A tutti noi tocca quindi rilanciare la mobilitazione per Ingrid. Non lasciamo che prevalga la logica della morte. A morire, insieme a quella fragile, diafana giovane signora precocemente invecchiata, sarebbero anche, e definitivamente, i diritti umani di un intero popolo.
12/01/2008
fonte: http://www.articolo21.info/notizia.php?id=5969...
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