La guerra è madre di tutte le cose. Divagazioni semiserie di un cuore irriducibilmente anarchico
"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci
lunedì 16 luglio 2007
25 anni fa moriva Prezzolini
Chi era Prezzolini? Lui si definiva l'anti-italiano per eccellenza. E' stata, in ogni caso, una mente acuta ancorché votata al pessimismo; pessimismo che non si sa bene quanto ingiustificato quando prevedeva, già nel '48, per l'Italia una fine alla sudamericana. Tanto conosceva gli italiani.. Io lo ricordo attraverso due libri, lui così agnostico, che parlano di Dio e dei suoi uomini: il famoso "Dio è un rischio", un libro dalle profondità inaspettate per un non-cristiano (tanto da spingere papa Paolo VI a intraprendere una corrispondenza con lui) e "Francesco", una biografia del Poverello davvero fuori dalle righe, un libro che ho amato molto quando l'ho letto nei miei anni dell'adolescenza. Lo ricordiamo con questo articolo, che proviene da un sito web della "sua" Svizzera. Aveva infatti adottato Lugano in quanto in Italia il suo spirito libero lo sentiva soffocarsi ogni volta che vi tornava..
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GIUSEPPE PREZZOLINI: PROFETA IN PATRIA
Provo nello scrivere di Prezzolini la stessa difficoltà che provavo nel parlargli, benché l'uomo fosse di grandissima affabilità e mettesse sempre l'interlocutore perfettamente a proprio agio.
Ma è pur difficile parlare con un monumento vivente e Prezzolini lo era da ogni puntodi vista, fatta salva la sua umanità, ben reale quella e tutt'altro che marmorea.
Il piccolo salotto un po' triste ove lo si incontrava nella sua casa di Lugano, la calma atmosfera borghese accentuata dallo statico panorama lacustre che traspariva dalla finestra non potevano in effetti far dimenticare che Prezzolini non era, come poteva sembrare in quel momento, un gentile anziano signore a riposo in terra elvetica, ma uno degli spiriti più dinamici della moderna cultura italiana, un testimone straordinario e un protagonista intelletuale di quasi un secolo di Storia italiana.
Di fronte a lui qualunque interlocutore appariva un po' inadeguato: difficile colloquiare normalmente, a meno di essere afflitti da intollerabile presunzione, con chi era stato contemporaneo, amico e confidente di grandi personalità politiche o letterarie conosciute oggi ormai solo sui libri di testo.
Pur essendo rimasto sino all'ultimo un lucidissimo e attento conoscitore della realtà quotidiana, riandava spesso più volentieri al passato: si avvertivano allora, nella penombra del suo salottino, le ombre di Papini di Slataper, Soffici o Mussolini, presenze quasi concrete, come se fossero uscite dalla stanza pochi minuti prima.
Ed anche un poderoso bagaglio di esperienza, che certo io non possedevo, sarebbe apparso esile ed impari al confronto: si ascoltava quindi Prezzolini, più che parlargli, o almeno così accadeva a me.
Altrettanto difficile, a dieci anni dalla sua scomparsa, mi riesce lo scrivere di lui. Non che manchino gli argomenti, anzi abbondano, visto che si aprono persino musei dedicati alla sua opera, e per ricordarlo si scomoda personalmente anche un politico come Giovanni Spadolini: ironia della sorte che un grande e coerente estimatore di Machiavelli come fu Prezzolini venga da qualche tempo così generosamente commemorato proprio dalla sua antitesi storica: un Guicciardini redivivo, quale mi pare essere il cardinale dell'attuale regime Giovanni Spadolini.
Tutto ciò comunque non stupirebbe per nulla Prezzolini, che della natura umana fu straordinario conoscitore e ancor più lo fu del suo paese e dell'italica progenie.
E peraltro, quando ormai si avvicinava il suo centenario, Prezzolini ebbe occasione di vivere la sua ultima avventura, ovvero la vasta operazione di recupero che una certa categoria politico culturale italiana tentava di fare della sua figura, dopo anni di ostracismo. Grazie alla veneranda età raggiunta Prezzolini aveva fatto anche la cortesia a taluni tardivi „talent scout" di poterlo riscoprire, ora che i decenni avevano limitato e facevano dimenticare il suo passato non conformista e sopratutto la sua costante coerenza: difetto questo davvero intollerabile nei salotti buoni, come già insegnava, ce lo ricorda benissimo proprio Prezzolini, il buon Baldassarre Castiglioni, nell'insuperato „Cortegiano".
Il recupero per la verità non è stato generale. Ricordo di aver letto casualmente, non molto tempo fa, una dichiarazione di Mario Soldati, che con Prezzolini ha in comune solo la longevità, piena di rancore e ostilità ma soprattutto di ostentato disprezzo nei suoi confronti.
E dire che propio Prezzolini, negli anni Quaranta, gli aveva pagato il biglietto di ritorno dagli Stati Uniti! L'odio sin oltre la morte di Soldati è tuttavia perfettamente comprensibile. Prezzolini aveva sintetizzato quasi un secolo con le sue idee, con le sue stupefacenti intuizioni, personificando il travaglio di un italiano in un momento storico straordinario. Soldati ha riempito quasi altrettanto tempo con il suo nulla esistenziale e letterario, magnifico raoppresentante della cultura di celluloide hollywoodiana, personaggio degno di nota più che altro per le innumeravoli disaventure matrimoniali. Con ciò ricco e incensato, mentre fino all'ultimo Prezzolini fu assillato dal timore di non riuscire a garantirsi la tranquillità finanziaria per sé e per la sua compagna. Eppure sarebbe stato semplice per Prezzolini ritrovare l'applauso e gli agi della Corte: in Italia, fra gli uomini di mondo, si erano viste conversioni ben più tardive e radicali.
Durante il fascismo Prezzolini si era volontariamente esiliato: sarebbe stato anche troppo facile tornare in trionfo al seguito dei vincitori: ma questo avrebbe transformato Prezzolini in un protagonista delle storielle di Soldati, cosa fortunatamente impensabile.
L'italia colta e intelligente, come si diceva, ha invece approfittato del lungo arco di vita di Giuseppe Prezzolini per rimetterlo seppur tardivamente ai massimi vertici della cultura nazionale, dopo opportuno esilio e „quarantena" e naturalmente dopo accurata epurazione di quanto sgradevole all'establishment poteva risultare nell'uomo e nell'opera. Prezzolini questa vaga riabilitazione l'ha accettata: perché non insensibile ai complimenti, perché reso più timoroso, negli ultimi anni, dai problemi finanziari, e quindi un po' meno indipendente. Ma l'ha più che accettata subita, perché l'uomo non era di quelli che si turano il naso dopo aver ben fiutato il vento, e finiscono per gallegiare sempre come sugheri, magari riuscendo a recitare anche la parte di spiriti liberi e anticonformisti.
Sono in effetti stati gli altri ad adattarlo in qualche modo ai tempi, non lui ad adattarvisi: ma da conservatore un po' cinico non si sorprese certo di questo tardivo rendergli giustizia. Lui stesso l'aveva scritto: „...nel mondo, e particolarmente in Italia, ci si imbatte solo per caso nella Giustizia, e solo quando i tempi sono propizi..."
Restio ad inchinarsi al Principe di turno troppo fedele alla linearità delle propie convinzioni per piegarle alla moda politica o culturale del momento, l'anti-italiano Prezzolini era, come pochissimi suoi connazionale nella Storia, incapace di equilibrismi. Poteva anche ammirare il Principe di turno, non sottomettervisi e men che mai fingere di criticarlo restandone sostanzialmente servitore, cosa che gli avrebbe permesso, fra gli uomini di lettere e di giornalismo in Italia, di godere di facile gloria senza rischi.
Ma l'uomo era impermeabile a simili tentazioni: rimase sempre fedele a quel „circolo degli apoti", di sua invezione, il ristretto circolo di „coloro che non la bevono" e non vogliono neppure dare ad intendere di farlo.
Nato nella regione italiana più fertile di geni, profondamente intriso di cultura italiana, fu uno dei critici più lucidi e spietati dell'Italia politica e morale.
Sarà abbastanza difficile ai suoi improvvisati esegeti, ai suoi interessati neo ammiratori, utilizzarlo come vogliono e sperano a fini politici: l'eredità di Prezzolini èdi quelle difficili da gestire anche per i politicanti più esperti in funambolismi e il suo talento profetico lo rende ostico al regime anche post mortem.
Già molti anni prima della sua morte scriveva (L'italia finisce - Ed. Rusconi - pp 13): „L'italia del Risorgimento, la parentesi unitaria di questo disunito paese, appare finita". Dovevano ancora nascere le Leghe e il signor Bossi sbarcava il lunario in qualche modo ma l'uomo che aveva previsto con anni di anticipo l'ascesa e la caduta del fascismo ancora una volta precedeva largamente i tempi. E con parole inequivocabili: „...Il tentativo di formare uno Stato nazionale è fallito. L'Italia sarà forse una provincia dell'Impero europeo" (idem. Pp 9).
Affermazioni queste non certo frutto di considerazioni estemporanee ma conseguenze di un'analisi e una ricerca culturale, storica e politica meticolosa, estesasi per l'arco di decenni ed espressa con meravigliosa sintesi e senza opportunistici tentennamenti.
Di certo Prezzolini avrebbe voluto un'Italia diversa, un'Italia anche politicamente e moralmente degna del suo immenso retaggio culturale e artistico: ma alieno alla retorica e alla faciloneria qual'era preferirà vederla e descriverla realisticamente.
E il suo giudizio non cambierebbe di certo oggi, che si cerca di reinventare a fini meramente opportunistici un patriottismo non solo inesistente ma svillaneggiato e ridicolizzato per mezzo secolo soprattutto dai due soli grandi movimenti di massa italiani: quello cattolico e quello socialcomunista, entrambi latori di messaggi diversi, fideismo e lotta di classe, ma entrambi egualmente e profondamente ostili ai valori nazionali e statuali riscoperti solo in questi giorni „ad usum delphini", laddove la famosa „solidarietà nazionale" non ha nulla ma proprio nulla di patriottico e nazionalista ma sottintende solo la continuazione di un metodo a taluni molto utile e gradito di distribuzione di prebende, elemosine e carità varie con soldi prelevati dalle tasche altrui.
Per questo non consiglierei all' „intellighenzia" del regime di parlare troppo di Prezzolini: se gli italiani davvero dovessero leggerlo e seguirne i consigli il Palazzo dovrebbe rapidamente metterlo all'indice anche da morto.
Lo si lasci dunque ai pochi che lo hanno apprezzato veramente e da sempre: come scrittore politico non merita gli elogi di questa Corte e men che mai questa Corte merita lui.
di Gianfranco Montu'
su gentile concessione dello CSDAN
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(Novembre 1992 -- Copyright CSDAN Milano)
e MIU' portale web libertario
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