16/7/2007
I cambiamenti climatici stanno arrestando la risorsa idrica del fiume più lungo d'Italia
PARMA
L’acqua del Po sta diminuendo: con l’avanzare degli effetti del cambiamento climatico e della domanda di risorsa idrica il suo corso rischia di arrestarsi, nei periodi più critici, anche a 100 chilometri di distanza dalla foce.
È l’allarme lanciato in occasione di un workshop intitolato «Effetti dei cambiamenti climatici sul bacino del Po», organizzato dall’Apat, in collaborazione con l’Arpa dell’Emilia Romagna, che si è tenuto stamane a Parma alla Camera di Commercio. La portata del più grande fiume italiano è scesa del 20-25% nello scorso trentennio: su ogni dieci litri di acqua che arrivavano in precedenza alla foce del Po, mancano oggi all’appello più di due litri.
Per esperti e scienziati, questo trend è destinato a peggiorare: le piogge sono diminuite negli ultimi 30 anni del 15-20% nel bacino del Po, mentre i cambiamenti climatici stanno portando a una contrazione media del 10% delle precipitazioni sull’intera penisola.
Già oggi i diritti di prelievo dal Po superano la portata media del fiume: per usi agricoli (soprattutto), industriali e civili si potrebbero, almeno sulla carta, sottrarre al fiume fino a 1.800 metri cubi di acqua al secondo, contro i 1.500 che realmente scorrono in media nel suo alveo all’altezza della foce. Nei fatti, si prelevano dal Po due miliardi e mezzo di metri cubi di acqua all’anno, di cui oltre il 73% destinati all’agricoltura. Così, nei periodi estivi più critici, la portata d’acqua alla foce può scendere sino a 180 metri cubi al secondo.
L’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente ha riunito, per la prima volta attorno a uno stesso tavolo, scienziati, esperti, istituzioni per affrontare il tema dell’adattamento al cambiamento climatico.
L’eccezionalità del caso Po è evidente. Il fiume è un vero e proprio laboratorio all’aria aperta degli effetti combinati delle pressioni climatiche e umane. Il suo bacino è quindi influenzato da una complessità di fattori sensibili al clima e costituisce un importante scenario di eventi idro-meteo-climatici e socio economici.
Il Po sta già oggi diminuendo la sua portata e quindi la sua «forza»: nei periodi di magra le portate possono scendere sino a 180 m3 d’acqua al secondo, che non bastano nemmeno per raffreddare gli impianti di Porto Tolle (Rovigo), una delle maggiori centrali elettriche del Paese. I settori con maggiore sete d’acqua sono l’industria e l’agricoltura: soprattutto per quest’ultima attività si dovranno adottare tecnologie più innovative e abbandonare progressivamente colture che richiedono molta acqua (quali riso, mais e kiwi).
Più in generale, si dovrà pianificare un utilizzo del suolo, in particolare del bacino del Po, che tenga conto delle mutazioni climatiche in atto. Il Po è un fiume strategico per l’economia del nostro paese, oltre che per la tutela dell’ambiente e quindi della salute. Il suo bacino si estende per oltre 71.000 km2 - quasi un quarto dell’intero territorio nazionale - interessa 3.200 comuni, sei regioni più la provincia di Trento. In quest’area infatti si concentra il 40 per cento del prodotto interno lordo, il 37 per cento dell’industria nazionale, il 46 per cento dei posti di lavoro, il 55 per cento della zootecnia (in sole 5 province), il 35 per cento della produzione agricola. Il consumo di energia elettrica è pari al 48 per cento del consumo nazionale.
Alla diminuzione progressiva degli afflussi (cioè delle precipitazioni) nell’ultimo trentennio, che si stima attorno al 15-20%, e all’aumento della domanda idrica, fa riscontro un decremento significativo della portata media del Po che, in chiusura di bacino (a Pontelagoscuro) è diminuita negli ultimi anni di circa il 20-25% rispetto alla media storica di lungo periodo (circa 1400-1500 m3/secondo contro gli storici 1800 m3/secondo).
Urbanizzazione e attività produttive risultano essere le cause principali dell’impoverimento di questo bacino: da qui - secondo i dati dell’Autorità di bacino - per uso potabile vengono prelevati 2,5 chilometri cubi (1 km3 è pari ad 1 miliardo di metri cubi) all’anno (11,1%); per uso industriale (escluso quello energetico) 1,5 km3 l’anno (6,7%); per usi elettrici (idro e termo) 2 km3 l’anno (8,9%) e per l’agricoltura ben 16,5 km l’anno (73,3%).
Dagli studi sulla rete acquedottistica padana risulta che, mediamente, per ogni metro cubo di acqua prelevata (1.000 litri), 40 litri sono persi al momento dell’immissione in rete, 200 litri sono persi nelle reti di adduzione e 150 litri nelle reti di distribuzione. Tali perdite (complessivamente pari a 390 litri) si infiltrano nel terreno; dei 610 litri consegnati alle utenze finali, 120 vengono consumati e 490 restituiti.
In agricoltura, appare significativo come, a fronte di prelievi consistenti e altrettanto consistenti dissipazioni, il sistema non sia in grado di fronteggiare le situazioni di stagioni siccitose, nelle quali si richiede un incremento dei prelievi di circa il 15%.
Il settore dell’agricoltura del bacino del Po genera un valore aggiunto annuo di circa 7,7 miliardi di euro, pari all’1,2% del valore aggiunto totale generato nel bacino del Po. Considerando i prelievi per l’irrigazione, si ottiene che per ogni metro cubo d’acqua di genera un valore aggiunto pari a 0,46 euro/m3.
fonte: http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cronaca/200707articoli/3873girata.asp
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