"Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza." Antonio Gramsci

lunedì 14 gennaio 2008

IL GOLPE INGLESE / 1- Dalle carte segrete del Foreign Office l'idea di un colpo di Stato in Italia

Repubblica ha trovato e può rendere noti testi elaborati nel 1976
in cui s'ipotizzava il "Coup d'Etat", poi scartato perché "irrealistico"


di FILIPPO CECCARELLI



A mali estremi, estremi rimedi. Anche questo fu la guerra fredda in Italia, là dove il male estremo, più che una generica idea di comunismo, era la concretissima possibilità che il Partito comunista italiano andasse al potere.

Era il 1976, l'anno delle elezioni più drammatiche dopo quelle del 1948. Ebbene: dinanzi al male assoluto che un governo con il Pci avrebbe arrecato al sistema di sicurezza dell'Alleanza atlantica, nel novero degli estremi e possibili rimedi il fronte occidentale, le potenze alleate e in qualche misura la Nato presero in considerazione anche l'ipotesi di un colpo di Stato. Un "coup d'Etat", letteralmente: alla francese. Eventualità scartata in quanto "irrealistica" e temeraria.

Nei documenti britannici di cui Repubblica è venuta in possesso grazie alla norma che libera dal segreto le carte di Stato dopo trent'anni, ce n'è uno del 6 maggio 1976, ovviamente super-segreto, elaborato dal Planning Staff del Foreign Office, il ministero degli esteri inglese, e intitolato "Italy and the communists: options for the West". All'inizio di pagina 14, tra le varie opzioni, si legge in maiuscolo: "Action in support of a coup d'Etat or other subversive action". Il tono del testo è distaccato e didattico: "Per sua natura un colpo di Stato può condurre a sviluppi imprevedibili. Tuttavia, in linea teorica, lo si potrebbe promuovere. In un modo o nell'altro potrebbe presumibilmente arrivare dalle forze della destra, con l'appoggio dell'esercito e della polizia. Per una serie di motivi - continua il documento - l'idea di un colpo di Stato asettico e chirurgico, in grado di rimuovere il Pci o di prevenirne l'ascesa al potere, potrebbe risultare attraente. Ma è una idea irrealistica". Seguono altre impegnative valutazioni che ne sconsiglierebbero l'attuazione: la forza del Pci nel movimento sindacale, la possibilità di una "lunga e sanguinosa" guerra civile, l'Urss che potrebbe intervenire, i contraccolpi nell'opinione pubblica dei vari paesi occidentali. E dunque: "Un regime autoritario in Italia - concludono gli analisti del Western European Department del Foreign and Commonwealth Office (Fco) - risulterebbe difficilmente più accettabile di un governo a partecipazione comunista".

In politica estera i documenti diplomatici, specie se a uso interno, hanno una loro fredda determinazione. Gli interessi sono nudi, non di rado venati di cinismo. Questi che raccontano la crisi italiana prima e dopo le elezioni del 20 giugno 1976 provengono dai faldoni desecretati dell'archivio del premier britannico e del ministero degli esteri. Sono centinaia e centinaia di fogli: corrispondenza fra i grandi del mondo occidentale, resoconti di riunioni e incontri, analisi di rischio, lettere di accompagnamento, policy papers, telegrammi, schede, studi comparati (l'Italia come il Portogallo della rivoluzione dei garofani, ad esempio), relazioni dirette alle ambasciate di Sua Maestà a Roma, Parigi, Bonn, Washington e Bruxelles, quartier generale della Nato.

In questo abbondante materiale non c'è, ovviamente, solo la rivelazione del golpe. Eppure, mai come in queste testimonianze scritte il "Fattore K", come "Kommunism", cioè l'impossibilità per il Pci di essere accettato al governo nel quadro degli equilibri decisi a Yalta, trova la sua più realistica rappresentazione. E al massimo livello. Ad esempio. Grazie all'ambasciatore americano a Londra, Elliot L. Richardson, si viene a conoscere il testo di una lettera privata che il Segretario di Stato Henry Kissinger scrive in gennaio all'allora presidente dell'Internazionale socialista Willy Brandt a proposito della crescita comunista in Italia, Spagna e Portogallo: "Ho il dovere di esprimere la mia forte preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare. La natura politica della Nato sarebbe destinata a cambiare se uno o più tra i paesi dell'Alleanza dovessero formare dei governi con una partecipazione comunista, diretta o indiretta che sia. L'emergere dell'Urss come grande potenza nello scenario mondiale continua a essere motivo di inquietudine. Il ruolo della Nato, così come la nostra immutata posizione militare in Europa, è indispensabile e cruciale. La mia ansia consiste nel fatto che questi punti di forza saranno messi in pericolo nel momento in cui i partiti comunisti raggiungeranno posizioni influenti nell'Europa occidentale".


Dei vari protagonisti Kissinger è senz'altro il più caparbio e intransigente. Mentre i vertici della Nato sono fin dall'inizio i più irrequieti. Scrivono il 25 marzo dal ministero della Difesa britannica ai colleghi degli Esteri: "La presenza del Pci nel governo italiano e conseguentemente l'accresciuta minaccia di sovversione comunista potrebbero collocare l'Alleanza e l'Occidente dinanzi alla necessità di prendere una decisione grave". È chiaro che la partita va ben oltre le faccende italiane: "L'arrivo al potere dei comunisti - si legge in un documento interno del Fco - costituirebbe un forte colpo psicologico per l'Occidente. L'impegno Usa verso l'Europa finirebbe per indebolirsi, potrebbero così sorgere tensioni gravi fra gli americani e i membri europei della Nato su come trattare gli italiani". Ma al tempo stesso c'è il rischio che un governo con Berlinguer sconvolga gli equilibri consolidati da trent'anni di guerra fredda creando problemi anche all'Urss, e qui i diplomatici inglesi sottolineano il pericolo che "le idee riformiste si diffondano in Russia e nell'Europa dell'Est". Il Pci di Berlinguer, e più in generale quello che allora andava sotto il nome di "eurocomunismo", costituisce a loro giudizio una vera e propria "eresia revisionista" e il suo sbocco governativo porterebbe il dibattito teorico della chiesa marxista sul terreno della politica reale. Il Pcus ha tutte le ragioni per temere il "contagio" di un "comunismo alternativo" al potere in occidente. E tuttavia, secondo altre analisi, su un piano più immediatamente geopolitico e militare per l'Urss "i vantaggi supererebbero di gran lunga gli svantaggi, specie in relazione all'indebolimento della Nato".

Henry Kissinger con il premier inglese James Callaghan


E insomma, sarebbe un evento "catastrofico". La parola risuona più e più volte nei papers in attesa delle elezioni italiane. Da Bruxelles, soprattutto, fanno presente che il tempo stringe e per questo occorre prepararsi al peggio. "La presenza di ministri comunisti nel governo italiano porterebbe a un immediato problema di sicurezza nell'Alleanza - scrive a Londra l'ambasciatore inglese alla Nato, John Killick - Qualunque informazione in mano ai comunisti dovrà essere automaticamente considerata a rischio. I comunisti al potere altro non sono che l'estensione di una minaccia contro la quale la Nato si batte. Dunque, è preferibile una netta amputazione (dell'Italia, ndr) piuttosto che una paralisi interna".

La questione vitale riguarda la sicurezza nucleare, quindi la dislocazione e la custodia delle bombe atomiche: anche senza ministri comunisti alla Difesa e agli Esteri, un'Italia governata dal Pci va comunque esclusa dal Nuclear Planning Group: "Per dirla con parole crude - chiarisce il Ministero della Difesa - il rischio è che i documenti sensibili finiscano a Mosca". Altri problemi hanno a che fare con le basi militari e navali della Nato nella penisola: "Considerata l'alta percentuale degli italiani che votano Pci, è quasi certo che alcuni simpatizzanti di questo partito hanno già penetrato il quartier generale della Nato a Napoli (Afsouth). Sul lungo termine il Pci potrebbe accentuare lo spionaggio oppure spingere per rimpiazzare gradualmente i funzionari nei posti chiave dell'Alleanza con elementi comunisti". A parte gli scioperi, i blocchi e le manifestazioni che potrebbero essere organizzate attorno alle installazioni militari. In caso di guerra, possono nascere problemi seri: "La perdita del quartier generale di Napoli, ad esempio, avrebbe un effetto negativo sulle operazioni della Sesta Flotta nel Mediterraneo Orientale".

Il sistema di edifici in vetro, acciaio e cemento che ospita i National Archives a Kew Gardens, venti minuti di metropolitana a sud di Londra, sembra una via di mezzo tra una serra e una pagoda. Qui dentro sono conservati circa trenta milioni di record, dall'alto medioevo ai giorni nostri. Intorno, cottage, boschi, giardini e un piccolo lago artificiale popolato da oche e anatre. Nell'immensa reading room climatizzata, insonorizzata e strettamente sorvegliata da telecamere e dal personale in elegante giacca blu, il ricercatore Mario J. Cereghino ha passato varie settimane. Su uno dei grandi tavoli esagonali in legno scuro si sono via via ammonticchiati fascicoli su fascicoli, tutti originali, ingialliti dal tempo. Trent'anni e oltre: è attraverso queste carte che si può osservare, come mai finora, il backstage della guerra fredda.

L'Italia del 1976, come si sarà capito, è un paese in crisi. La formula del centrosinistra è morta; i comunisti hanno ottenuto un grande successo alle amministrative dell'anno prima conquistando il governo di diverse regioni e importanti città; il Psi, di cui è segretario l'anziano De Martino, ha aperto la crisi al buio; mentre ancora tramortita dalla sconfitta nel referendum sul divorzio e sotto accusa per una serie di scandali, la Dc sembra per la prima volta allo sbando, più che divisa, divorata dalle faide. A reggere le sorti del governo nei primi mesi dell'anno c'è un pallido bicolore Moro-La Malfa, cui segue, per gestire le elezioni anticipate, un ancora più esangue monocolore sempre diretto da Moro. La maggioranza è in pezzi, Berlinguer appare il personaggio del momento e da anni ormai ha posto sul tavolo l'offerta del Compromesso storico.

L'ambasciatore britannico a Roma, Sir Guy Millard, è un uomo molto sottile e per giunta dotato di una buona penna. "Berlinguer - scrive a Londra, al Segretario di Stato - è una figura attraente, ispira fiducia con la sua oratoria. Ciò che dice è credibile e lui lo afferma in modo convincente". Ma proprio per questo non c'è da fidarsi. "Il suo ingresso nel governo porrebbe la Nato e la Comunità europea dinanzi a un problema serio e potrebbe rivelarsi un evento dalle conseguenze catastrofiche". Quali Millard lo spiega in modo incalzante: la "disintegrazione" della Dc, innanzi tutto, poi il calo degli investimenti, la fuga dei capitali, la caduta di fiducia nelle imprese, l'intervento drastico del governo nello Stato e di conseguenza "la rapida fine del sistema di libero mercato". Cosa fare per tenere il Pci alla larga dal governo? "Non molto, temo". E aggiunge: "È un peccato che la difesa dell'Italia dal comunismo sia nelle mani di un partito così carente come la Dc".

Dello scudo crociato, dopo il congresso che a marzo ha visto la vittoria di Benigno Zaccagnini su Arnaldo Forlani, Millard va a parlare con l'ambasciatore americano a Roma John Volpe. Secondo quest'ultimo, Forlani "è una brava persona, ma non è un combattente", Zac invece "piace molto ai giovani", gli Usa lo appoggiano anche se preferirebbero Forlani e Fanfani che sono più anticomunisti. Parlano anche di Moro: "Qualche volta - sostiene Millard - sembra piuttosto ambiguo sul Compromesso storico". Volpe concorda: "È un pessimista, troppo incline a ritenerlo inevitabile". È questa specie di rassegnazione la colpa che gli americani attribuiscono all'astuta, ma imbelle classe di governo democristiana. In un rapporto del 23 marzo si legge che al Dipartimento di Stato Usa sono molto preoccupati: "La situazione italiana va deteriorandosi e non si sa come agire". Di qui al sospetto che la Dc faccia il doppio gioco il passo è breve: "Piuttosto che perdere il potere, preferirebbe spartirlo con il Pci".

Ai primi di aprile il rappresentante britannico presso la Santa Sede, Dugald Malcolm, va a trovare il Patriarca di Venezia, monsignor Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I: "Il Patriarca sembra aver assunto una posizione incline alla catastrofe. L'argomento trattato era sempre uno: l'avanzata del Pci". È il periodo in cui i comunisti italiani corteggiano i cattolici (alcuni di questi finiranno eletti nelle loro liste di lì a qualche mese). Su questo Luciani è intransigente: "Non si può essere al contempo cristiani e marxisti". Al diplomatico inglese racconta di aver dei problemi con alcuni sacerdoti della sua diocesi "che si sentono in obbligo di convertirsi al comunismo". In un'isola della laguna un gruppo di scout ha addirittura sostituito il crocifisso con la foto di Mao. Nel congedarsi, il prossimo pontefice sussurra: "Siamo nella mani di Dio". E aggiunge: "Che comunque sono buone mani".

continua -

fonte: http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/politica/documenti-foreign-office-1/documenti-foreign-office-1/documenti-foreign-office-1.html

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1 commento:

Anonimo ha detto...

ho letto tutti e tre i post e mi vien da ridere: all'anima delle grandi democrazie occidentali!!!!!

nullo